Dopo esserci
stata decine di volte, un giorno sono andata a Micene con Georg. Essendo
l’archeologa del gruppo accompagnavo un po’ tutti: parenti, amici e parenti di
amici. D’inverno il pulmann lasciava i turisti davanti a un cartello, che
precedeva una salita, sul quale c’era scritto “Micene 3 km ”. Così con tanta santa
pazienza abbiamo cominciato a camminare rassegnati. Dopo un po’ abbiamo trovato
un altro cartello “Micene 2 km ”.
E fin qui tutto regolare. Il problema è cominciato quando a distanza di un chilometro
uno dall’altro sono comparsi dei cartelli che dicevano “Micene 500 m ” ma Micene non si
vedeva neanche con il binocolo.
Una volta
arrivati siamo andati in giro per gli scavi. Entrati nella tomba di Atreo ci
siamo messi a ridere e a chiacchierare. Un signore ci ha notato e ci ha detto in
inglese che eravamo molto carini insieme e poi ci ha chiesto se volevamo farci
fare una foto. A questo punto Georg da buon Viennese ha accettato contentissimo
poi, rivolgendosi a me sottovoce ha elogiato la bontà d’animo dell’uomo. Io, da
buona Napoletana ho istintivamente pensato….questo mò si fotte[1] la
macchina fotografica. Per fortuna aveva ragione Georg, si trattava di una brava
persona, altrimenti chi ce la faceva a rincorrerlo lungo tutta quella strada.
Io e Georg
fingevamo sempre di essere come Ettore e Achille, ovviamente io ero il giovane
ed incosciente Achille. Abbiamo anche visto insieme in inglese il film Troy.
Ricordo che quando sono partita mi ha scritto un bigliettino con una frase
della colonna sonora del film: Remeber I
will never leave you, if you will longly remember me. Io per il mio eroe ho
anche scavalcato il cancello di un’area archeologica chiusa. Avevo da poco
scoperto che c’era un tempio di Era ad Argo e che secondo la leggenda lì avrebbero
giurato fedeltà ad Agamennone tutti i re che partirono per combattere a Troia.
Lì quindi c’era stato anche il mio amato Achille. L’area archeologica però era
chiusa e così ho deciso di scavalcare. Non avevo intenzione di fare alcun tipo
di danno, ma solo di andare là dove erano stati i miei eroi.
Una sera
tornando da Ostria, indossavo delle scarpe con dei tacchi altissimi (non li
porto quasi mai…. e possiamo anche togliere il quasi). Il dolore ai piedi era
lancinante e così mi sono tolta le scarpe. Ho costretto Georg a camminare per 2
km a piedi: io scalza e lui con le mie scarpe in mano.
Un giorno Georg si
è rotto il piede e così sono diventata la sua assistente. Per ricambiare decise
di preparami un piatto di pasta. Le parole precise furono:
-
ti ho guardata spesso e ho imparato come si cucina.
Preparò dei
bucatini. Mamma mia! Li ha lasciati così tanto tempo nell’acqua a bollire che
ogni bucatino sembrava un tubo dell’acqua. Si poteva guardare da una parte
all’altra del buco.
La cosa più
interessante dell’Erasmus era poter imparare nuove lingue, in particolare
parolacce. Dopo un paio di mesi ero capace di dire qualsiasi ingiuria in Greco
e Spagnolo (la propensione per le
parolacce come puoi capire è un retaggio dell’infanzia). Un giorno io e una mia
amica ci siamo viste per un caffè. Io ero con Georg; lei era con un ragazzo
polacco.
Mentre
chiacchieriamo Georg volendo fare sfoggio di quello che aveva imparato in
italiano con me, ha cominciato con un elenco di parolacce chiuso da “que palle”
e “que schifo”. Il polacco, a sua volta, decise di fare concorrenza al mio
amico austriaco e così cominciò “io ho, tu hai, egli ha......” con una “h”
tutt’altro che muta. Io ho cominciato a ridere come una pazza. Mi chiedo ancora oggi, a distanza di cinque
anni, perché mai Laura
gli avesse insegnato i verbi.
Il due gennaio
di quello stesso anno ho deciso di partire per Creta, da sola. Da Atene non è
un viaggio molto lungo, ma siccome dovevo fare economia avevo deciso di
prendere la nave. Oltretutto con il tesserino Erasmus avevo diritto al 50% di
sconto su ogni tratta e quindi nave fu. Meno male che mi ero portata dietro uno
di quei libri formato mattone perché è stata la “vacanza” più strana della mia
vita.
Dico strana
perché non è stata brutta, ma neanche bella.
Il viaggio l’ho
fatto dormendo su una sedia circondata da tanti giovani militari che mi hanno
galantemente e silenziosamente fatto da scorta. Verso le 10 di sera si sono
stesi in cerchio attorno alla mia sedia e si sono messi a dormire. Sono
arrivata alle cinque di mattina a Iraklio e di lì mi sono dovuta spostare a
Rethimno. Arrivata all’ostello ecco la prima sorpresa…era proprio un ostello.
Un edifico per dire così, abbastanza “fatiscente”; con stanze chiuse da una
porta di legno, ovviamente senza chiave e, il bagno all’esterno. Prova ora ad
immaginare com’è fare una doccia en plain
air quando fuori ci sono appena cinque gradi e la sera prima ha nevicato.
Ci è voluta tanta forza di volontà.
Alloggiavo in
questo posto con tre persone. Un professore di botanica della Borgogna in anno
sabbatico. Un ex docente universitario scozzese e per concludere, una simpatica
signora inglese stile Miss Marple. Ti posso assicurare che non sto esagerando.
La prima sera
ero disperata. Ero andata lì per studiare i siti e le ceramiche minoiche e ogni
museo o sito archeologico chiudeva al calare del sole, vale a dire alle cinque
del pomeriggio. Il problema fondamentale era…cosa fare di tutto quel tempo
libero? Il libro l’avevo concluso dopo due giorni; l’ostello aveva una sala
comune riscaldata da una stufetta a gas (l’unica stanza calda) e lì leggevo un
po’. La seconda sera gli altri tre inquilini mi hanno arruolata per fare un
gioco con le carte francesi e così ho fatto amicizia con loro.
In giro per
l’isola d’inverno non c’è nessuno per cui dopo due giorni tutti sapevano che
c’erano degli stranieri e poco ci avevano messo a capire che “l’italida[2]” ero
io. Mi sembrava di essere stata catapultata all’improvviso nel film Zorba il greco. Continuava a piovere. È
stata un’esperienza surreale. Ho anche visitato gli scavi di Crosso a nuoto
(aveva piovuto tantissimo) e non credo che sia una cosa comune; anche se a dire
la verità quel giorno c’era un altro pazzo come me al sito che andava in giro
in ombrello.
Tre anni dopo
sono tornata con il mio fidanzato in quella bellissima isola, per cancellare un
po’ di brutti ricordi legati alla solitudine.
Lo dico sempre
che per chi torna dall’Erasmus ci vorrebbe l’assistenza di uno psicologo. Il
posto in cui si fa questa particolare esperienza diventa una seconda patria,
una specie di isola che non c’è. Poi per me che sono napoletana è stata ancora
più particolare, perché per i greci non siamo come dei fratelli, infatti ogni
volta che mi trovavo a parlare con un greco e veniva fuori che ero Napoletana
mi dicevano sempre “mia faccia, mia razza”, “una faccia, una razza”. In
effetti è così. I greci, proprio come i napoletani quando danno un appuntamento
dicono “ci vediamo intorno alle
cinque”. Quell’intorno oscilla dalle 4 e 30 alle 5 e 30. Inoltre i greci
gridano e parlano gesticolando. Ma il bello di quella terra è proprio questo:
sono come i napoletani, solari, amichevoli, ma senza camorra…praticamente la
perfezione.
La domenica
spesso con i miei amici andavamo a fare delle gite in giro per la Grecia come ti ho detto. In
genere prediligevamo il Peloponneso; era collegato meglio ad Atene. Quasi
subito abbiamo scoperto che a Nauplia c’era un bar gestito da una signora
italiana, una gelateria per la precisione. Non so quante volte ci siamo andati,
ma ricordo bene la prima volta. Eravamo una decina di persone. La mattina
eravamo andati ad Argo. Io da buona napoletana/calabrese mi ero portata dietro
una frittata di pasta e una torta. Il pomeriggio ci siamo spostati a Nauplia e
ci è venuta voglia di gelato. Siccome con me erano rimasti gli altri due
italiani del gruppo ci siamo fermati a questa gelateria che si chiamava “Roma”.
Entrati scopriamo che la proprietaria si era trasferita in Grecia per amore e
che la signora era per l’appunto di Roma. A quel punto comincia
l’interrogatorio:
- Da dove venite?.
A turno cominciamo a rispondere. Chi era di
Genova, chi di Torino. Quando arriva il mio turno rispondo:
- Io sono di Napoli.
All’improvviso
quattro energumeni che erano seduti ad un tavolino si sono alzati in piedi di
scatto e hanno cominciato a gridare entusiasti:
- Napoli, mare, Maradona.
Poi mi hanno
stretto la mano e mi hanno chiesto:ù
- Come sta Maradona?
Io completamente
stranita da quella domanda rispondo:
- E io che ne so? Maradona non sta più a Napoli.
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