13 giu 2012

Parte 20: il mio amico Georg


Dopo esserci stata decine di volte, un giorno sono andata a Micene con Georg. Essendo l’archeologa del gruppo accompagnavo un po’ tutti: parenti, amici e parenti di amici. D’inverno il pulmann lasciava i turisti davanti a un cartello, che precedeva una salita, sul quale c’era scritto “Micene 3 km”. Così con tanta santa pazienza abbiamo cominciato a camminare rassegnati. Dopo un po’ abbiamo trovato un altro cartello “Micene 2 km”. E fin qui tutto regolare. Il problema è cominciato quando a distanza di un chilometro uno dall’altro sono comparsi dei cartelli che dicevano “Micene 500 m” ma Micene non si vedeva neanche con il binocolo.
Una volta arrivati siamo andati in giro per gli scavi. Entrati nella tomba di Atreo ci siamo messi a ridere e a chiacchierare. Un signore ci ha notato e ci ha detto in inglese che eravamo molto carini insieme e poi ci ha chiesto se volevamo farci fare una foto. A questo punto Georg da buon Viennese ha accettato contentissimo poi, rivolgendosi a me sottovoce ha elogiato la bontà d’animo dell’uomo. Io, da buona Napoletana ho istintivamente pensato….questo mò si fotte[1] la macchina fotografica. Per fortuna aveva ragione Georg, si trattava di una brava persona, altrimenti chi ce la faceva a rincorrerlo lungo tutta quella strada.
Io e Georg fingevamo sempre di essere come Ettore e Achille, ovviamente io ero il giovane ed incosciente Achille. Abbiamo anche visto insieme in inglese il film Troy. Ricordo che quando sono partita mi ha scritto un bigliettino con una frase della colonna sonora del film: Remeber I will never leave you, if you will longly remember me. Io per il mio eroe ho anche scavalcato il cancello di un’area archeologica chiusa. Avevo da poco scoperto che c’era un tempio di Era ad Argo e che secondo la leggenda lì avrebbero giurato fedeltà ad Agamennone tutti i re che partirono per combattere a Troia. Lì quindi c’era stato anche il mio amato Achille. L’area archeologica però era chiusa e così ho deciso di scavalcare. Non avevo intenzione di fare alcun tipo di danno, ma solo di andare là dove erano stati i miei eroi.
Una sera tornando da Ostria, indossavo delle scarpe con dei tacchi altissimi (non li porto quasi mai…. e possiamo anche togliere il quasi). Il dolore ai piedi era lancinante e così mi sono tolta le scarpe. Ho costretto Georg a camminare per 2 km a piedi: io scalza e lui con le mie scarpe in mano.
Un giorno Georg si è rotto il piede e così sono diventata la sua assistente. Per ricambiare decise di preparami un piatto di pasta. Le parole precise furono:
-          ti ho guardata spesso e ho imparato come si cucina.
Preparò dei bucatini. Mamma mia! Li ha lasciati così tanto tempo nell’acqua a bollire che ogni bucatino sembrava un tubo dell’acqua. Si poteva guardare da una parte all’altra del buco.
La cosa più interessante dell’Erasmus era poter imparare nuove lingue, in particolare parolacce. Dopo un paio di mesi ero capace di dire qualsiasi ingiuria in Greco e Spagnolo (la propensione per  le parolacce come puoi capire è un retaggio dell’infanzia). Un giorno io e una mia amica ci siamo viste per un caffè. Io ero con Georg; lei era con un ragazzo polacco.
Mentre chiacchieriamo Georg volendo fare sfoggio di quello che aveva imparato in italiano con me, ha cominciato con un elenco di parolacce chiuso da “que palle” e “que schifo”. Il polacco, a sua volta, decise di fare concorrenza al mio amico austriaco e così cominciò “io ho, tu hai, egli ha......” con una “h” tutt’altro che muta. Io ho cominciato a ridere come una pazza.  Mi chiedo ancora oggi, a distanza di cinque anni, perché mai Laura gli avesse insegnato i verbi.
Il due gennaio di quello stesso anno ho deciso di partire per Creta, da sola. Da Atene non è un viaggio molto lungo, ma siccome dovevo fare economia avevo deciso di prendere la nave. Oltretutto con il tesserino Erasmus avevo diritto al 50% di sconto su ogni tratta e quindi nave fu. Meno male che mi ero portata dietro uno di quei libri formato mattone perché è stata la “vacanza” più strana della mia vita.
Dico strana perché non è stata brutta, ma neanche bella.
Il viaggio l’ho fatto dormendo su una sedia circondata da tanti giovani militari che mi hanno galantemente e silenziosamente fatto da scorta. Verso le 10 di sera si sono stesi in cerchio attorno alla mia sedia e si sono messi a dormire. Sono arrivata alle cinque di mattina a Iraklio e di lì mi sono dovuta spostare a Rethimno. Arrivata all’ostello ecco la prima sorpresa…era proprio un ostello. Un edifico per dire così, abbastanza “fatiscente”; con stanze chiuse da una porta di legno, ovviamente senza chiave e, il bagno all’esterno. Prova ora ad immaginare com’è fare una doccia en plain air quando fuori ci sono appena cinque gradi e la sera prima ha nevicato. Ci è voluta tanta forza di volontà.
Alloggiavo in questo posto con tre persone. Un professore di botanica della Borgogna in anno sabbatico. Un ex docente universitario scozzese e per concludere, una simpatica signora inglese stile Miss Marple. Ti posso assicurare che non sto esagerando.
La prima sera ero disperata. Ero andata lì per studiare i siti e le ceramiche minoiche e ogni museo o sito archeologico chiudeva al calare del sole, vale a dire alle cinque del pomeriggio. Il problema fondamentale era…cosa fare di tutto quel tempo libero? Il libro l’avevo concluso dopo due giorni; l’ostello aveva una sala comune riscaldata da una stufetta a gas (l’unica stanza calda) e lì leggevo un po’. La seconda sera gli altri tre inquilini mi hanno arruolata per fare un gioco con le carte francesi e così ho fatto amicizia con loro. 
In giro per l’isola d’inverno non c’è nessuno per cui dopo due giorni tutti sapevano che c’erano degli stranieri e poco ci avevano messo a capire che “l’italida[2]” ero io. Mi sembrava di essere stata catapultata all’improvviso nel film Zorba il greco. Continuava a piovere. È stata un’esperienza surreale. Ho anche visitato gli scavi di Crosso a nuoto (aveva piovuto tantissimo) e non credo che sia una cosa comune; anche se a dire la verità quel giorno c’era un altro pazzo come me al sito che andava in giro in ombrello.
Tre anni dopo sono tornata con il mio fidanzato in quella bellissima isola, per cancellare un po’ di brutti ricordi legati alla solitudine.
Lo dico sempre che per chi torna dall’Erasmus ci vorrebbe l’assistenza di uno psicologo. Il posto in cui si fa questa particolare esperienza diventa una seconda patria, una specie di isola che non c’è. Poi per me che sono napoletana è stata ancora più particolare, perché per i greci non siamo come dei fratelli, infatti ogni volta che mi trovavo a parlare con un greco e veniva fuori che ero Napoletana mi dicevano sempre “mia faccia, mia razza”, “una faccia, una razza”. In effetti è così. I greci, proprio come i napoletani quando danno un appuntamento dicono “ci vediamo intorno alle cinque”. Quell’intorno oscilla dalle 4 e 30 alle 5 e 30. Inoltre i greci gridano e parlano gesticolando. Ma il bello di quella terra è proprio questo: sono come i napoletani, solari, amichevoli, ma senza camorra…praticamente la perfezione.
La domenica spesso con i miei amici andavamo a fare delle gite in giro per la Grecia come ti ho detto. In genere prediligevamo il Peloponneso; era collegato meglio ad Atene. Quasi subito abbiamo scoperto che a Nauplia c’era un bar gestito da una signora italiana, una gelateria per la precisione. Non so quante volte ci siamo andati, ma ricordo bene la prima volta. Eravamo una decina di persone. La mattina eravamo andati ad Argo. Io da buona napoletana/calabrese mi ero portata dietro una frittata di pasta e una torta. Il pomeriggio ci siamo spostati a Nauplia e ci è venuta voglia di gelato. Siccome con me erano rimasti gli altri due italiani del gruppo ci siamo fermati a questa gelateria che si chiamava “Roma”. Entrati scopriamo che la proprietaria si era trasferita in Grecia per amore e che la signora era per l’appunto di Roma. A quel punto comincia l’interrogatorio:
  • Da dove venite?.
 A turno cominciamo a rispondere. Chi era di Genova, chi di Torino. Quando arriva il mio turno rispondo:
  • Io sono di Napoli.
All’improvviso quattro energumeni che erano seduti ad un tavolino si sono alzati in piedi di scatto e hanno cominciato a gridare entusiasti:

  • Napoli, mare, Maradona.
Poi mi hanno stretto la mano e mi hanno chiesto:ù
  • Come sta Maradona?
Io completamente stranita da quella domanda rispondo:
  • E io che ne so? Maradona non sta più a Napoli.



[1] Ruba.
[2] “Italida” significa “italiana” in greco moderno.

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