31 mag 2012

parte 14: Mondragone - Napoli 2 la vendetta!


A Mondragone c’è un’usanza propria solo di questo città. Qualche giorno prima del matrimonio quasi tutte le coppie di sposi fanno le scrippelle (qualcuno le chiama anche crespelle).
Si tratta di un dolce fritto, a cerchi concentrici, con un diametro finale di circa 30 cm. La ricetta la conosce solo la signora che le fa, ma di sicuro ricordo fin da quando ero piccola che l’odore della cannella era molto forte.
Anche nella mia famiglia ovviamente sono state fatte le scrippelle. Per la precisione le abbiamo fatte nel cortile di nonna.
I cortili di molte case del mio paese venivano costruiti in funzione di tre attività ben precise da svolgersi nell’arco dell’anno: lavorazione e imbottigliamento dei pomodori, uccisione del maiale per fare le salsicce e scrippelle, ovviamente.
Per le scrippelle ci si doveva svegliare alle quattro del mattino perché alle cinque arrivava la signora; non saprei definirla in altro modo, l’abbiamo sempre chiamata “la signora”. Veniva presto perché doveva fare l’impasto che poi doveva lievitare. Quando abitavo all’ultimo piano del caseggiato di nonna, a volte spiavo da sopra la terrazza. Da lì ho anche assistito all’uccisione del maiale per fare le salsicce. Un’esperienza indimenticabile. Sono rimasta traumatizzata.
La signora delle scrippelle prepara tutto e verso le sette si comincia a friggere l’impasto dandogli una forma a spirale. Il rituale previsto è questo. Le zie più vecchie sono addette a tre procedure fondamentali:
1-      mettere lo zucchero sul dolce;
2-      mettere i confetti nel cerchietto centrale, rigorosamente 5 confetti;
3-      incartare il dolce.
Le scrippelle vengono poi messe in delle ceste. Ogni adulto parte con una decina di scrippelle e un bimbo al seguito per procedere alla consegna. Il dolce si offre sia alle persone che sono state invitate al matrimonio, sia a quelle che non sono state invitate ma che, in qualche modo, sono partecipi della gioia degli sposi. Ad esempio si offre a tutti quelli che abitano nella stessa strada dei piccioncini.
Il rituale non si conclude qui. Alla consegna delle scrippella, il ricevente deve, per tradizione, non per obbligo, dare una mancia al bimbo che la consegna. Anche se a volte i bimbi sono un po’ cresciutelli.
A casa nostra i soldi si mettevano tutti in una scatola e poi alla fine si ridistribuiva il tutto equamente. In genere era mamma che contava i soldi e, armata di un cucchiaio di legno, evitava che qualcuno sottraesse in anticipo qualcosa dal fondo cassa. Me ne sono presa di legnate sulle mani io.
Una volta sono andata con un cugino di mamma a consegnare una scrippella. Avrò avuto più o meno 5 anni. Arrivati a casa di una signora, sono scesa con il dolce in mano e sono entrata nel cortile della casa. Era un cortile molto simile a quello di nonna e la signora era in una delle camere al piano di sopra. Si è affacciata e mi ha detto di mettere la scrippella in un cesto che aveva calato giù. Io ho eseguito l’ordine e poi sono rimasta lì ad aspettare. Il cugino di mamma, Tommaso, non vedendomi tornare ha cominciato a chiamarmi:
  • We, ce ne vogliamo andare?
  • Eh, ma Tommaso, questa i soldi non me li ha mica dati.
Tommaso voleva morire. La signora mi aveva sentita e mortificatissima era scesa a darmi il soldino.
Ovviamente, siccome la scrippella è un dolce che si fa solo per i matrimoni, quando capita l’occasione se ne approfitta per mangiarne un bel po’. In genere per il giorno seguente la colica è assicurata.
A Mondragone come a Napoli ci sono degli assunti fondamentali per quanto riguarda la viabilità. Una specie di decalogo di dogmi accettati per fede:
1- le frecce le usano solo gli indiani, quindi in macchina non c’è nessuna necessità di utilizzare i suddetti segnalatori. Poi c’è la variante di coloro che guidano l’ape car, anche noto col nome di tre ruote. Questa variante prevede che si accenda il segnalatore luminoso di destra e poi si giri tranquillamente a sinistra.
2- Le strisce pedonali sono puramente decorative. Servono a dare un po’ di colore all’asfalto che tutto nero è triste.
3- Questo terzo punto vale più per Napoli che per Mondragone. I semafori sono luci luminose che abbelliscono la città nel periodo natalizio. A Napoli c’è un incrocio rinomato per l’anarchia che regna sovrana. Là dove Via Mezzocannone incrocia Corso Umberto è un disastro. Attraversare la strada è un’impresa. Ho visto persone darsi l’estremo saluto prima di tentare l’attraversamento. Un giorno c’erano addirittura i vigili. Il risultato non era dei migliori. Un signore anziano si è avvicinato a uno degli ufficiali e ha detto:
§  Voglio complimentarmi con voi. Davvero bravi!
§  Grazie mille. Facciamo solo il nostro dovere. – rispose tronfio il vigile.
§  No! Complimenti davvero. Quando ci state voi qui è peggio del solito!
Una volta come segno di protesta per non ricordo cosa, furono spenti i semafori per circa 24 ore in tutta la città. Non se ne è accorto nessuno.
4- Il casco non si indossa, altrimenti come si fa con il gel sui capelli? Se mai qualche volta lo si può anche mettere, ma non lo si allaccia; è così trendy  slacciato.
5- sul motorino si va almeno in tre, altrimenti si sprecano posti.

29 mag 2012

Parte 13: Napoli-Mondragone e ritorno!


La stazione di Falciano-Mondragone-Carinola sembra proprio quella descritta da Calvino all’inizio del suo libro Se una notte d’inverno un viaggiatore. Persa nelle campagne del casertano. Talmente tanto vicina a vari allevamenti di bufale, che appena le vedo capisco di essere arrivata a destinazione.
Questo è un luogo che negli ultimi anni mi è capitato di frequentare spesso, dato il mio andirivieni tra Napoli e Mondragone.
Da anni ormai la suddetta stazione manca completamente di personale onde per cui ci si arrangia un po’ come si può. Per arrivare in questa landa desolata, si può fare uso di un pulmino, che ha fatto provare a molti l’ebbrezza della diligenza; ci mancano solo i banditi e il quadro è completo. I più fortunati raggiungono la ferrovia in macchina.
Alla stazione accadono cose che ormai sono entrate a far parte della normalità ma che tali non sono. Come si direbbe a livello giuridico fanno parte della consuetudine. La scena più comune alla quale si può assistere è quella di un gregge di esseri umani che attraversa i binari del treno; il tutto con tanto di cartello che riporta a chiare lettere la seguente frase: è severamente vietato attraversare i binari – servirsi del sottopassaggio.
Per i ciechi del paese, che sono tanti, c’è anche una “suadente” vocina che all’altoparlante ripete il suddetto messaggio. Niente da fare, le cose non cambiano.
Un altro show al quale potreste assistere sono i vaneggiamenti dell’addetto alla sala controlli. In realtà nella sala controlli non c’è nessuno, ma sono anni che riceviamo indicazioni da una voce che non sappiamo da dove proviene. Un giorno ha annunciato, tramite l’altoparlante, che il treno diretto per Napoli Centrale era in arrivo al sesto binario. Considerando che la stazione conta solo tre binari è venuto spontaneo a molti chiedersi cosa avesse fumato e/o ingerito il suddetto soggetto.
Qualche volta è anche capitato che non ci fosse nessuno ad annunciare l’arrivo dei vari treni, per cui ci è toccato chiedere ai passeggeri di ogni treno in transito…
  • scusate ma dove va questo treno?
In generale io con i mezzi di trasporto non ho proprio un bellissimo rapporto. Soffro, come dicono alcune persone, del mal di movimento. In pratica mi viene subito la nausea. Ho trovato una tecnica abbastanza efficace per risolvere il problema: mi addormento e così non mi accorgo di nulla. Certo è che non sono molto di compagnia.
Ormai ho sviluppato talmente bene questa tecnica che mi addormento in soli tre secondi.
Una volta, quando ero ad Atene, presi la metro che andava da piazza Vittoria al Pireo. Dovevo scendere dopo due, al massimo tre fermate. La mia tecnica in quel caso ha funzionato fin troppo bene: mi sono addormentata alla grande e mi sono svegliata dopo una mezz’ora tra le urla di un controllore greco. Oltretutto non capivo niente di quello che diceva. Il poverino era incazzatissimo, erano già dieci minuti che tentava di svegliarmi, ma io, niente.
La peggiore esperienza che ricordo a proposito di mezzi di trasporto, purtroppo sono costretta a ripeterla con una certa regolarità. Il mio fidanzato, infatti, vive a Maiori, in Costiera Amalfitana. Mamma mia quanto odio tutte quelle curve. Gli autisti guidano come se fossero a Monza e puoi immaginare come mi sento ogni volta.
La prima volta che ho incontrato il papà di Agostino avevo un colorito tendente al verdognolo, misto a varie tonalità di blu. La prima cosa che ho dovuto fare dopo essermi presentata, è stata assicurare che di solito sono molto più rosea e presentabile; altrimenti il papà del mio ragazzo avrebbe potuto pensare che il figlio si era fidanzato con Shrek.

27 mag 2012

parte 12: non potevo mancare io ai miei albori.....


Un giorno un mio professore ha descritto in modo chiaro e sintetico come le due famiglie abbiano influenzato il mio carattere, come lo stile magno greco si sia fuso con quello romano. Ricordo che mi disse che la parte greca, quella calabrese, che è nella mia anima mi porta a riflettere, a pormi delle domande importanti e profonde come “chi siamo?”, “dove andiamo?”, “da dove veniamo?”. Poi però la parte romana che è nella mia testa, diciamo quella in pratica della mia famiglia materna, si rende conto che ai fini pratici un’eventuale risposta non mi servirebbe comunque a niente e così passa oltre.
A detta di mia madre e di molti altri ho un ego che a confronto quello di Hitler doveva essere una nocciolina. Sono anche riuscita a superare il famoso complesso Freudiano di castrazione. Secondo gli psicologi le bambine soffrirebbero di questa sindrome in quanto prive dell’organo genitale maschile. All’età di 3 o 4 anni, all’affermazione “tu non hai il pisellino” ho brillantemente risposto “ce l’ho ma piccolino”.
Durante la mia infanzia di deduzioni folli come questa ne ho tratte varie.
Quando stavo imparando a contare, per ripetere i numeri che avevo memorizzato contavo i gradini della scala di casa. Un giorno mia madre mi ha vista in cima alla scala tutta concentrata. Stavo per scendere e così ha deciso di aspettarmi giù. A un tratto si è accorta che stavo contando. Dicevo un numero per ogni gradino:
  • Nove…dieci…undici…dodici…tredici…quattrici…  cinquici…
Elementare Watson!
Un’altra volta ero alle prese con un libro di quelli per bambini. Pieno di immagini. Sotto ogni immagine c’era scritto il nome dell’oggetto rappresentato. Sotto una bellissima mela rossa io ho letto:
  • M – E – L – A
Pronunciavo ogni lettera singolarmente come fanno i bimbi quando stanno imparando a leggere. Sotto una pera leggevo:
  • P –E – R – A
Mamma mi ha notata e ha cominciato a guardarmi quasi con le lacrime agli occhi. Era orgogliosissima. Stavo leggendo. Così sono andata avanti.
  • A – P – E
Ma ecco comparire l’immagine di un copricapo con sotto scritto “berretto” e io ho letto:
  • C – A – P – P – E – L – L – O
Quando mamma si è accorta che baravo mi voleva uccidere.
Una volta stavo leggendo un giornale dal dentista. L'ho trovato già aperto a una pagina in cui c'era un test e così l'ho fatto.
domanda numero 1: vai spesso in bagno?
risposta: si
domanda numero 2: appena uscito dal bagno hai la sensazione di doverci tornare?
risposta: si
giro la pagina ed ecco il risultato.... BENE HAI LA PROSTATA!
Ho chiuso il giornale e mi sono accorta che stavo leggendo Men's Health ....
Credo di essere una delle poche persone ad essere nata suocera senza essere passata attraverso il ruolo di mamma. Finirò sicuramente nel girone degli iracondi e con le coronarie al collasso ma almeno sarò in buona compagnia.... 

24 mag 2012

Parte 10: Nonna Rosa ...


Con mia nonna paterna, quasi ogni domenica, si svolge un rituale telefonico ben preciso, invariato da anni:
  • Nonna come stai?
E poi in coro.
  • Come i vecchi.
Allora lei mi chiede
  • Quando venite a trovarmi?
  • Non lo so nonna.
Il problema fondamentale, oltre alla distanza, è anche la strada che conduce a Laureana: la temutissima Salerno -  Reggio Calabria. I comici si sono sbizzarriti in mille modi a descrivere i disagi subiti da chi viaggia su questa specie di tratturo leggermente evoluto ma la realtà è che bisogna andarci almeno una volta, come esperienza di vita. È un po’ come fare la Parigi–Dakar.
Mia nonna ha una quantità di sorelle allucinante. In tutto credo fossero 12 figli di cui ben 8 femmine. Quando vado lì in Calabria le trovo sempre tutte a chiacchierare su una panchina. Si lamentano tutte spesso di acciacchi vari, ma stanno meglio di me. Credo sia l’aria o l’acqua del paese, mah non so.
Nonna è sempre convinta di stare là là per morire, ma dall’ultima volta che sono andata a trovarla ormai non le credo più. Ho scoperto che ha guidato fino alla veneranda età di 85 anni una macchina con tanto di portiere a favore di vento. Lavora in un orticello dove c’è qualsiasi tipo di pianta abbiate mai immaginato, il tutto stipato in 5 metri quadrati. C’è una pianta di arance nana che sta sotto ad un albero di ciliege … prima o poi sulla pianta di ciliege comparirà un “purtuallo rosso fuoco”. Inoltre, riesce ancora agevolmente a “inchianare”, come dice lei, la salita che porta al mercato e, vi assicuro che non è cosa da poco.
Quando sono scesa in Calabria con il mio ragazzo la notizia ha creato lo scompiglio, ma soprattutto si è diffusa alla velocità della luce. Abbiamo trovato tutta la famiglia pronta ad aspettarci. Nonna ci ha raccontato tre volte in un giorno di quando faceva l’insegnante. Ma l’acme l’abbiamo raggiunta altre due volte. Una con una sorella di nonna :
  • Hai sentito al telegiornale? Una turista straniera si è fatta il bagno nella fontana di Trevi tutta nuda.
Una volta comunicata la notizia la mia prozia se ne è andata. Io per curiosità sono andata a vedere il tg e ho sentito che la “turista straniera” era di Milano, al che ho chiesto:
  • ma come di Milano, zia ha detto che era forestiera.
  • e si quella zia pensa che da sopra al Garigliano sono tutti forastieri.
Una volta Agostino ha osato dire a nonna che era coetanea della madrina di mia zia, compare Gina, al che nonna, offesa a morte ha ribattuto …
  • ma quale coetanea … quella Gina tiene un anno più di me!

23 mag 2012

Parte 11: Il club della Manella!


A dare man forte a mio padre c’è il famigerato Club della Manella. Il club qualche anno fa ha perso uno dei membri fondatori, non che casinista numero uno. Il mitico Alfonso Follera, meglio conosciuto come Fofò. Artista di tutto rispetto e grande lavoratore. Ogni volta che pranzavamo tutti insieme organizzava scenette mitiche, oppure, lo ricordo molto bene, creava delle vere e proprie opere d’arte dal nulla. Una sera in un locale si è fatto dare un piatto, una candela e uno stuzzicadenti. Con il fumo ha annerito il piatto e poi con lo stuzzicadenti ha creato delle figure molto allungate, simili all’Urlo di Munch.
Una volta in un ristorante di Pozzuoli, d’accordo con il proprietario che era suo amico, si è mascherato da barbone ed è entrato creando lo scompiglio tra i clienti.
Quella sua vena artistica lo ha sempre spinto a guardare oltre. Era l’unico a considerarmi un archeologo di professione già al primo anno di università. Un giorno si è presentato a casa con un orecchio di terracotta per chiedermi una consulenza. Mi ha fatta sentire tanto importante, una professionista.
Altro membro onorario del Club è Vincenzo Smirne, anche detto anema corta (Ha cominciato lui! Mi chiamava sempre Anema longa perché sono alta e così io lo chiamo Anema corta). Lui è quello che solitamente da il via ai tormentoni, che poi hanno una durata interminabile. Non per altro si chiamano tormentoni.
Una sera siamo andati tutti a cena fuori, e tutti significa almeno 25 di noi se non di più, poi siamo andati a prendere un gelato ma invece di scendere tutti insieme siamo scesi a gruppi di tre o quattro dalle macchine. Mano a mano che entravamo nel locale salutavamo quelli che erano già dentro come se non ci vedessimo da anni. Un cliente del bar, non avendo capito che stavamo facendo i coglioni, ha detto:
  • Ma tu guarda che fortuna vi siete incontrati dopo tanto tempo tutti quanti qui stasera. Mamma mia che cosa strana!
Il Club della Manella ha anche un inno ufficiale: Io Vagabondo dei Nomadi.
I momenti in cui il Club della Manella dà il suo  meglio è a tavola. Pasquetta, 1° Maggio, 25 Aprile, sono tutti pretesti per mangiare e divertirsi. Il 25 aprile 2009 ci siamo dati alla guerra con l’acqua. Ognuno usava la sua arma: bottiglie, secchi, bicchieri … mia madre ovviamente doveva esagerare. All’improvviso non l’ho vista più e conoscendola ho capito che stava armeggiando qualcosa e così sono andata a nascondermi. Dopo neanche 5 minuti ecco che cade l’acqua dall’alto … mamma era salita sulla terrazza e si era armata di pompa. Siccome il muretto del terrazzo è alto lei non riusciva a vedere chi c’era sotto e all’improvviso ha gridato:
  • Quanti ne ho presi?
E io laconica:
  • Mamma hai sparato sulla croce rossa … hai preso solo nonna.
Il nome Manella non si ricordano più neanche come sia nato. Certo è che si tratta di un gruppo di persone tutto speciale. Durante la mania superenalotto, quando il jackpot era arrivato a 150 milioni di euro, avevano deciso di giocare un sistema tutti insieme.
Dopo poco hanno cominciato a fantasticare su cosa avrebbero potuto fare con quei soldi.
Proposito principale…comprare tutti una Ferrari, ma di colori diversi, altrimenti si rischia di dare nell’occhio.
Meno male che anche questa mania è passata.

21 mag 2012

Parte 9: il dramma di chiamarsi Prossomariti!


I parenti di papà, vivono sparsi tra Genova, l’Australia e un piccolo paesino della Calabria di ben 5.000 abitanti, che si chiama Laureana di Borrello. Nome strano, tanto strano che per questo nome stavo finendo dai Carabinieri.
Un giorno, in gita scolastica a Napoli, durante il quarto anno di liceo, con alcune mie amiche abbiamo preso l’autobus per raggiungere i professori alla stazione. Arrivate proprio davanti alla stazione entrano nell’autobus ben tre controllori che ci fermano per chiederci il biglietto. Noi lo mostriamo tranquillamente, salvo accorgerci in ritardo che era scaduto da qualche minuto. Io ho ingenuamente pensato che essendo sull’autobus non avremmo potuto comprarne un altro, quindi il controllore non avrebbe fatto storie.
Multa.
Ecco appunto.
All’epoca ero ancora minorenne e così il controllore ha compilato il modulo da inviare a mio padre. Ero anche senza documenti e così mi hanno fatto delle domande:
  • Qual è il cognome di suo padre?
  • Prossomariti
  • Scusi come ha detto?
  • Prossomariti. P-R-O-S-S-O-M-A-R-I-T-I
  • Ma, tutto attaccato?
  • Si, si Prossomariti, tutto attaccato.
  • Dove è nato?
  • A Laureana di Borrello.
 Al che il controllore si è alterato e ha cominciato a gridare:
  • Ma mi ha preso per uno stupido? Sa quante persone tentano di imbrogliarmi dandomi dati falsi? Almeno poteva scegliere dei nomi più credibili. Andiamo dai carabinieri così la smette di fare la spiritosa.
  • E andiamo dai carabinieri. – cos’altro avrei potuto rispondere.
  • Che fa! È ironica? – disse il controllore.
Meno male che alla fine è arrivata la mia professoressa di italiano a farmi da garante, perché altrimenti, nervoso come era, il controllore davvero mi portava dai carabinieri. E tutto questo nonostante gli stessi dicendo la verità.
Tutto ciò per non parlare dei problemi che da anni affliggono la nostra famiglia per via del cognome. Addirittura mia madre, a causa dell’errata trascrizione effettuata da un impiegato comunale, per un certo periodo è risultata sposata con un certo “Pronomaisti”.
Il mio cognome è stato storpiato in ogni modo; le varianti più comuni sono: Prossomártiri, Rossomarino, Prossomogli…e via dicendo.
Il top l’ho raggiunto un giorno agli scavi di Paestum.
In genere quando vado in difficoltà e mi accorgo che la persona che ho di fronte non vuole collaborare, do il cognome di mia madre che è più semplice: Bene.
Agli scavi di Paestum avevo acquistato i biglietti per il sito anche a mia madre e mio padre. Siccome tardavano ad arrivare e la visita guidata stava per cominciare, ho deciso di lasciare i biglietti all’ingresso e dirgli di ritirarli lì. 
Mi scusi, sarebbe possibile lasciare qui dei biglietti? Sono per i miei genitori che sono in ritardo.
Certo! Non c’è nessun problema. Mi dica il cognome così lo scrivo dietro al biglietto e quando me li chiedono so a chi darli.
  • Va bene: Prossomariti!
  • Come scusi?
  • Prossomariti!
  • Mi dispiace ma non capisco.
  • P-R-O-S-S-O-M-A-R-I-T-I.
  • Grossomariti?
Dopo diversi tentativi falliti…
  • Facciamo così, scriva Bene.
  • Si, si se me lo detta lentamente lo scrivo bene.
  • No, dovete scrivere proprio Bene.
  • Ho capito. – ha risposto l’addetta alterata. – se mi detta lettera per lettera lo scrivo bene.
  • Non ci siamo capite, scriva il cognome di mia madre che è Bene. B-E-N-E.                     
Una notte sono dovuta correre al pronto soccorso. Mi ero rotta una costola e così due miei amici mi hanno accompagnata al Cardarelli. Intanto i miei genitori ci hanno raggiunti da Mondragone. Giunti all’accettazione del pronto soccorso è successo di tutto:
  • Signorina, cosa succede? – mi chiese il responsabile dell’accettazione vedendomi molto sofferente.
  • Credo di avere una costola rotta, ho molto dolore e mi hanno detto di venire qui.
  • Certo, mi dia i suoi dati. Cognome!
  • Prossomariti.
  • Come scusi?
Oddio ricominciamo. Pensai tra me e me. Con quel dolore non avevo proprio voglia di mettermi a fare le solite discussioni.
  • Senta se vuole glie lo scrivo io.
  • Signorina non c’è bisogno, sono capace di scrivere un cognome. Me lo ripeta.
  • Prossomariti.
  • Rossomartiri?
  • No, no. Prossomariti con la P di Palermo. E poi è mariti non martiri. Posso scriverlo io?
  • No lo scrivo io non si preoccupi.
  • Mamma mia era meglio se arrivavo priva di sensi qui, così vi prendevate la carta di identità e copiavate il cognome.
  • Si calmi. Ora dobbiamo misurarle la pressione.
  • É inutile.
  • Perché?
  • Ormai sarà arrivata a 180 grazie a voi.
I Prossomariti sembrano essere una razza in via di estinzione. Dovremmo rientrare in un programma di protezione. Un giorno una signora di Roma con il mio stesso cognome ha telefonato a mio padre. Non è che ci vuole molto a trovare il numero. A Mondragone sull’elenco telefonico è l’unico Prossomariti. La signora ha chiamato per informarci del fatto che il nostro cognome ha un significato preciso. È il nome greco di una conchiglia.
Facebook ha fatto molto per questa specie rara. Un giorno mentre pubblicavo di tutto sono stata contattata da una ragazza che ha il mio stesso cognome. Anche lei è di Roma. Chissà che non sia una coincidenza. La curiosità ha preso il sopravvento e la domanda fondamentale era… quanti siamo?
È cominciata così la caccia ufficiale.
Uno dei Prossomariti più giovani, su Facebook, ha deciso di fondare un gruppo in cui riunirci tutti virtualmente: PROSSOMARITI IN THE WORLD. Siamo ben 14, comprese me e mia sorella.
Ve lo avevo detto che siamo in via di estinzione!
La scoperta più drammatica non è stata il numero esiguo, ma la provenienza di tutti i soggetti del gruppo da un unico piccolo, anzi piccolissimo paesino della Calabria: Laureana di Borrello. In realtà c’è anche qualcuno di Stellitanone che si trova vicino a Laureana. In pratica siamo tutti parenti. Ce ne sono ovunque: Italia, Germania, Francia, Argentina.
I membri calabresi della mia famiglia sono tutto un programma, proprio come quelli di Mondragone.

19 mag 2012

parte 8 - Il dottor Prossomariti


Papà non è da meno di mamma. Presepista convinto in cerca di proseliti, impatta contro di me che sono un’alberista convinta, per dirla alla De Crescenzo.
Non lo so, i pastori mi fanno paura.
Passa talmente tanto tempo in garage, a fare presepi e a restaurare mobili, che ha mandato in crisi mia cugina piccola. Sia mamma che papà sono medici, ma lei per qualsiasi problema si era sempre rivolta a mamma. Quando aveva circa cinque o sei anni, è stata poco bene. Mia zia l’ha portata a casa, ma mamma non c’era perché era di turno:

  • Zia, aspetta un attimo che ti chiamo papà. – le dico io.
  • Perché chiami zio Luciano? -  chiese mia cugina.
  • Monica così vediamo di capire cosa hai.
  • E perché? Zio Luciano non fa il falegname?

Spesso, siccome a Napoli si trovano materiali di vario tipo per i suoi presepi, mi spedisce in giro a comprare cose di cui non capisco niente.
Una volta mi ha mandata al negozio di materiali per l’accademia d’arte a comprare la “cera bianca”.

  • Salve mi servirebbe della cera bianca!
  • Cera bianca…cera bianca. Ma volete quella gialla?
  • Oddio non lo so, mi hanno detto bianca.
  • Ma bianca non c’è.
  • Aspettate un attimo faccio una telefonata e chiedo bene.

Prendo il cellulare e chiamo papà.

  • Papà ma qua dicono che la cera bianca non esiste. Dice che c’è solo gialla.
  • Eh si quella gialla.
  • E scusa ma perché mi hai mandata a comprare la cera “bianca”?

Ogni tanto con la scusa di venirmi a trovare a Napoli, si fa accompagnare a San Gregorio Armeno, la famosissima strada dei presepi della città partenopea. Lì vendono tutto l’occorrente per creare pastori, oggetti e scenografie per i presepi, ma anche prodotti già finiti.
Un giorno siamo andati lì perché papà cercava una natività da 7 centimetri. Vale a dire che i pastori devono essere alti 7 centimetri.
Abbiamo guardato in una decina di negozi. Papà è lentissimo quando fa queste cose e il mio unico compito è portare le buste. Dopo circa due ore di “passeggiata”, coma la chiama lui, mi trascino a stento con il carico di materiale artistico.
Alla fine siamo riusciti a trovare una natività che gli piaceva. Nonostante ciò sembrava perplesso. Continuava a osservare la statuina che rappresentava la Vergine Maria.

  • Dottò c’è qualcosa che non va? – chiese perplesso il commerciante.
  • Mi sembra piccola. Siete sicuro che è sette centimetri?
  • Dottò, mi dovete crede, se si alza… è 7 centimetri.

Io sono corsa fuori di ridendo come una pazza. Ma che cavolo di discorsi sono questi.
Papà è un tipo molto ansioso, caratteristica che ha ereditato da sua madre. Un pomeriggio nonna mi ha chiamata e al termine della conversazione mi ha fatto la seguente raccomandazione
  • Mi raccomando, non prendere le borse che lasciano sugli autobus!
 Io sono rimasta un attimo perplessa. Forse ho capito male.
No.
Ho capito proprio bene:
  • Nonna ma che me ne devo fare delle borse che lasciano negli autobus?
  • stai attenta che ci potrebbe essere una bomba.
Oltretutto papà ha una certa propensione a fare figuracce, proprio come me; più che altro perché a volte parla senza pensare.
Una domenica era venuta mia nonna a pranzo da noi e, non so come, siamo finiti a parlare del nonno di una mia amica che, è sulla sedia a rotelle. Mia sorella ha detto:
§  quello poi non è neanche tanto vecchio. Ha solo 78 anni.
 E mio padre:
§  azz non è vecchio! Mica sei giovane a 78 anni?
Scattano i segnali. Io e mia madre cominciamo a sbracciarci dalle nostre postazioni, ma papà imperterrito:
§  A 78 anni stai più di là che di qua.
 Abbiamo tentato anche con i segnali di fumo ma alla fine è dovuta intervenire in maniera più diretta mia nonna:
§  we Lucià, io tengo 77 anni, come dici tu l’anno prossimo avessa murì!
Papà è convinto inoltre che la perseveranza premia, ma non si rende conto dei rischi che corre. A volte si mette in fondo alla scala e grida…
§  è pronta la cena scendete!
§  Si, si papà arrivo.
§  è pronta la cena scendete!
§  Si, si papà arrivo subito.
E continua così finché non ti viene la voglia di dire tutte le bestemmie che non hai mai detto in vita tua. Sembra Lello Arena nel film Ricomincio da tre quando chiama Troisi….Gaetà, Gaetano, Gaetà, Gaetano.
Papà si è anche sobbarcato l’onere di insegnarci a guidare. Mamma è troppo impressionabile in macchina. Ricordo ancora uno dei primi tentativi che abbiamo fatto. Guidavo abbastanza bene ma a un tratto davanti al parabrezza è comparso un uccellino. Per paura di colpirlo ho sterzato all’improvviso e così siamo finiti con parte della macchina in una campagna e le ruote posteriori in una canaletta. Papà voleva uccidermi.
Il periodo della scuola guida è stato abbastanza snervante per me. Sono riuscita a rompermi il polso e il legamento del ginocchio in meno di 20 giorni per cui non riuscivo mai a fare le prove di guida.
La sera dopo la lezione l’istruttore per circa dieci minuti ci faceva rispondere a delle domande per vedere se avevamo capito bene.
La lezione sugli incroci è stata drammatica. Ho dato talmente tanto fastidio chiacchierando con la mia vicina di banco che ad un certo punto l’istruttore mi ha chiesto di rispondere ad una domanda:
  • Cosa faresti se ti trovassi a un incrocio di cinque strade tutte occupate? – e mi ha fatto vedere l’immagine dell’incrocio. Io rifletto un po’ sulla cosa. Vaglio le varie opzioni e alla fine decido…
  • Lascio le chiavi nella macchina e me ne vado, sperando che gli altri si muovano e casomai mi spostino pure la macchina.
I momenti più spassosi con papà sono quelli in cui è alle prese con la tecnologia.
Un giorno abbiamo deciso di comprare un telefono cordless. Ci saremmo dovuti rendere subito conto dell’errore che stavamo facendo. Se prima non si rispondeva a telefono perché non si voleva rispondere, da quel momento non abbiamo più risposto perché era impossibile trovare il telefono. Papà questo lo aveva predetto, ma come al solito non lo abbiamo ascoltato. Poverino, sembra Cassandra. Il risultato è stato che per quasi un mese ha continuato a dire “ve lo avevo detto!”.
Una sera squilla il telefono e sul tavolino della cucina papà con suo grande stupore, senza dover fare una caccia al tesoro, trova proprio il cordless.
  • Pronto! Pronto! – continuava a gridare papà, quando ha visto mia sorella prendere una cosa sul tavolo.
  • Pronto! Chi cercate? – dice Anna.
A questo punto mio padre perplesso chiede a mamma:
§  Lucì, ma con chi sta parlando Anna?
§  Sta parlando al telefono Luciano.
§  E io con che sto parlando allora?
§  Con il telecomando.
La prima volta che siamo andati a mangiare tutti insieme a casa del mio fidanzato non la dimenticherò mai. Siccome era la prima volta che papà andava in costiera, abbiamo deciso di usare il tom tom per le indicazioni stradali. All’andata nessun problema, anche perché a dirigere gli spostamenti oltre al tom tom era anche mamma. Al ritorno la situazione si è complicata. Mamma si è addormentata. Io come al solito dormivo, ma a metà strada mi sono svegliata. Papà era ormai convinto di viaggiare in piena solitudine quando il tom tom parla:
  • per la tangenziale girare a destra!
  • Si lo so ma Lucia ha detto che non devo prendere la tangenziale. – risponde papà.
A quel punto io mi incuriosisco.
§  per la tangenziale girare a destra! – ripete il tom tom.
§  ho capito ma Lucia ha detto che non devo andare di là. –  risponde nuovamente papà. E alla fine dice… vabbuò facciamo come dici tu.
Io stavo morendo dalle risate e gli ho detto:
§  papà vedi che il tom tom non parla con te!
Dopo un poco mamma si è svegliata e quando si è accorta che papà non aveva preso la strada che diceva lei gli ha fatto una partaccia e papà continuava a dire sottovoce:
§  Io glie lo avevo detto a quel coso che non dovevamo pigliare la tangenziale.

Appendice
Beh due paroline ci vogliono anche sul mio papà che è il mio mito. Pur essendo un ansioso cronico è riuscito nella sua vita a resistere a qualsiasi colpo la sfortuna gli abbia inflitto, ultimo di tutti la morte di mamma. Ha sempre resistito con una grande forza e dignità a cose per le quali la metà delle persone avrebbero gettato la spugna. E' piccoletto di fisico ma ha una pellaccia da paura. E' uno dei miei eroi e modelli da seguire. Vorrei un giorno avere la forza di resistere ai colpi della vita come ha fatto lui, senza mollare mai nonostante tutto!

18 mag 2012

Parte 7: la strana coppia...


Per completare il quadro della mia famiglia materna non si può non parlare dei miei bisnonni, i famosi “nonno Giovanni e nonna Nannina (diminutivo di Anna)”. Non li ho mai conosciuti ma me ne hanno parlato talmente tanto che mi sembra di conoscerli. Oltretutto nonna mi diceva sempre che caratterialmente e fisicamente somiglio molto alla mia bisnonna.
Basta un piccolissimo e semplice aneddoto per farvi il quadro della situazione. La sorella di nonno Giovanni, che viveva all’estero, era morta e la notizia era stata data a nonna Nannina. In accordo con gli altri, avevano deciso di non dirlo a nonno, per non farlo stare male. La cosa è andata avanti per un bel po’ di tempo finché un giorno, in seguito a un battibecco tra i miei bisnonni, nonna Nannina ha cominciato ad urlare nel cortile:

  • Giovà vaffanculo tu e soreta morta e bona.

Fu così, molto traumaticamente, che nonno scoprì tutto.
Si racconta che quando papà e mamma hanno comunicato alla famiglia di mamma che si sposavano, nonno Giovanni abbia chiesto di parlare con papà. In pratica il mio bisnonno non volendo avere scrupoli di coscienza di alcun genere, voleva accertarsi che mio padre fosse nel pieno delle sue facoltà mentali mentre decideva di fare quel gesto.
Nonno Giovanni si occupava di luminarie, vale a dire le illuminazioni per le feste di paese e ahimé… per il cimitero.
C’era l’usanza di controllare che tutte le luci fossero funzionanti la sera prima del ponte dei morti. Per fare questo controllo bisognava attendere che facesse buio. Alla veneranda età di 5 anni mi è stato concesso di partecipare a questo rito. Il risultato è stato il seguente. Il 3 novembre dello stesso anno sono andata a scuola e, quando la prof. ci ha fatto fare un tema dal titolo: “il giorno dei morti”, io ho beatamente scritto che mi ero divertita tanto, perché ero andata al cimitero di notte con tanta gente. Puoi immaginare la reazione della mia maestra che, non essendo del mio paese, non sapeva che mestiere facessero i miei nonni. C’è mancato poco che chiamasse gli assistenti sociali.
Nonna Nannina era nota anche per il suo scarso udito. Una volta mia madre si dimenticò di scendere alla stazione di Mondragone e finì con il treno a Sessa Aurunca. Arrivata lì andò a un telefono pubblico per telefonare a casa e avvisare di quanto era successo. Non lo avesse mai fatto. Nonna Nannina risponde al telefono e la cosa si è svolta più o meno così:

  • Pronto sono Lucia!
  • No mi dispiace Lucia non c’è è a Napoli.
  • No nonna sono io Lucia.
  • Mi dispiace ma dovete chiamare più tardi perché Lucia non è ancora arrivata.

16 mag 2012

Parte 6: Anastasia Capizzi I


Infine, c’era zia Assia (diminutivo di Anastasia), o meglio la mia prozia, non che madrina di battesimo. Era sempre nervosa e soprattutto molto pignola. Se le dovevi fare un piacere o lo facevi bene o non lo facevi proprio. Per lei la frase “basta il pensiero” era tanto stupida quanto “l’importante è partecipare”.
Un giorno abbiamo messo sotto sopra l’intero vicolo perché gridavamo come due pazze. Lei mi aveva chiesto di prenderle dei pasticcini con la crema “gialla” (sarebbe la crema pasticciera), io non li ho trovati e così ho preso quelli con la crema chantilly.
Non l’avessi mai fatto.
Per i suoi 80 anni le stavamo regalando un bell’infarto. L’avevamo invitata alla pizzeria di mio zio, per farle una sorpresa. Lei credeva saremmo stati solo io, lei, mamma, papà e mia sorella…invece ad aspettarla c’erano tutti i suoi nipoti con famiglia, circa 40 persone.
La ricordo ancora nitidamente. Si metteva seduta al tavolo della sua sala da pranzo con la plastica che copriva il tavolo piegata, per non farla poggiare sulle gambe; le dava fastidio. Su questa plastica metteva un panno bianco di cotone. Poi apriva le parole crociate e cominciava a scrivere con una penna rossa di quelle cancellabili. Accanto alla mano destra teneva sempre dei tovaglioli di carta piegati a quattro e il primo lo usava per pulire la punta della penna. Se glie ne chiedevi uno ti diceva di no perché aveva impiegato tanto per piegarli e quindi se ne volevi uno te lo dovevi preparare. A cosa le servivano? A niente, erano lì per fare da appoggio al primo che era l’unico utilizzato.
Passava le sue giornate a leggere (leggeva sempre prima l’ultimo capitolo e poi il resto del libro), a fare parole crociate e guardare la TV.
Zia Assia era molto diversa da nonna. Aveva studiato in un collegio. Diciamo che erano due intelligenze diverse una legata all’istruzione e l’altra all’esperienza.
Quando nacque mia cugina Anastasia, l’annuncio ci fu dato da zia in questi termini:

  • è nata Anastasia Capizzi III.

Come se la nostra famiglia facesse parte di una dinastia reale.
Fedele alleata di Zia Assia è stata per anni ‘Ngiulina (diminutivo di Angela). ‘Ngiulina non era della famiglia. Era una specie di Cenerentola. Rimasta orfana di madre aveva notevoli problemi con la matrigna e così fu letteralmente adottata dalla mia bisnonna Nannina, la madre di mia nonna. La mia bisnonna la prese in casa dicendo che aveva bisogno di una mano per dei lavoretti e così ‘Ngiulina è entrata a far parte della famiglia Capizzi.
Quando eravamo piccole ha viziato me e mia sorella in una maniera assurda. Una delle cose che, chiunque l’abbia conosciuta non dimenticherà mai, è la sua seppia fritta. La faceva a metà mattinata e la metteva in un piatto con sopra un tovagliolo. Chiunque passava ne prendeva un pezzo di nascosto, il risultato era che non arrivava mai niente a tavola.
L’ultimo periodo della sua vita lo ha passato in un letto e quando andavo a trovarla mi parlava sempre della guerra e di quando era bambina. Mi ha raccontato di come il mio paese ha vissuto il risveglio il giorno seguente l’8 dicembre 1943. Ma la cosa più particolare che mi ha insegnato, sono degli indovinelli molto antichi e nel dialetto del mio paese. Credo di essere l’unica della mia età a conoscerli:

Tengo nu cascione, chino di lardone;
Taglio taglio e nun se venchie mai[1].

Tengo na canestella chiena di fiori bell;
a sera ce li metto e a matina non ce li trovo[2]

Alla fine del giro dei saluti ricevevo quasi sempre la mia “mazzetta” o ricompensa che dir si voglia, vale a dire 10 euro (c’è stato il rincaro dei prezzi anche in questo caso a causa dell’euro, infatti, prima prendevo 10 mila lire). Ai 10 euro spesso si affiancavano: polpette, cotolette, parmigiana…tutte cose molto gradite. Sono tornata talmente spesso a Napoli con le polpette di nonna che la mia amica, Luana, sono anni che mi chiama “polpetta”. Credo che all’inizio il soprannome fosse dovuto anche alle dimensioni della mia faccia, ma comunque sorvoliamo.


[1] Ho una cassa, piena di lardo; ne taglio, ne taglio e non si riempie mai. La soluzione è il cimitero.
[2] Ho una piccola cesta, piena di bei fiori; la sera ce li metto e la mattina non ce li trovo. La soluzione è le stelle.

14 mag 2012

Parte 5: Maria Vienna Capizzi!

Dopo nonno Ciccio era il turno di nonna. Io, com’è tipico di molte donne, questo si deve dire, sono a dir poco logorroica; parlo tantissimo e a una velocità assurda. Come dico sempre: faccio sanguinare le orecchie. Nonna è tra le poche persone che ha la pazienza di ascoltarmi e così vado a darle fastidio ogni tanto. Ogni volta che la vedo si svolgono i convenevoli di rito:

  • Nonna come stai?
Risposta
  • Non mi sento.

Una frase che dalle nostre parti vuol dire tutto e niente. Non mi sento, traduzione di “ho qualcosa ma non so neanche io cosa”. Questo complica tantissimo la vita a chi vorrebbe tentare di aiutarti ma non sa esattamente cosa fare.
Recentemente nonna si è operata alla cataratta e quindi è costretta a portare gli occhiali da sole quando è alla luce. Siccome le piace dire le sue preghiere sulla terrazza, negli ultimi tempi, quando la vado a trovare, mi sembra sempre di vedere Ray Charles che dice il rosario seduto al sole.
Nonna ha un carattere molto forte ma è di un permaloso che non ha eguali. Quando era piccola, all’epoca della seconda guerra mondiale, lei e la sua famiglia dovettero scappare in un paesino vicino al nostro. Un giorno i tedeschi cercavano gli uomini più giovani e in salute per portarli con loro. Alcuni si ruppero addirittura le dita della mano per poter essere scartati. Altri si nascondevano, proprio come i fratelli maggiori di mia nonna. Anche quel giorno si erano nascosti in una soffitta dove si accedeva tramite una scala di legno. Siccome l’avevano presa in giro poco prima, mia nonna dopo averli fatti nascondere si era portata via la scala per poi lasciarli lì due giorni.
Dai racconti di famiglia pare si fosse anche bruciata i capelli per sembrare un maschietto e andare in giro più liberamente.
Nonna era dotata di una ciabatta telecomandata che usava per punire me e mia sorella senza doversi alzare dalla sua adorata poltrona.
Quando io e mia sorella eravamo piccole siccome litigavamo spessissimo siamo state divise: Anna stava da mia zia Assia e io da mia nonna alla porta di fronte. Anna godeva di un trattamento privilegiato modello hotel excelsior: Anna cosa vuoi mangiare? Anna cosa vuoi vedere alla tv?
Io, che stavo con nonna mi vedevo piazzare davanti ogni giorno un improbabile piatto di pasta che navigava nel sugo e poi ero costretta tutti i pomeriggi a vedere Sentieri. Credo di aver visto più telenovele io di chiunque altro al mondo.
Quando nonna è morta sono venute tantissime persone a fare le condoglianze. Nonna era conosciuta da tutti e poi era “la celeste” presidente dell’azione cattolica, potete immaginare cosa ha passato quando ha scoperto che ero atea. Il giorno del funerale una signora si è avvicinata a me per farmi le condoglianze e mi ha detto

  • Mi dispiace per sua nonna, era una donnina così a modo.

Lo devo ammettere, non è stata proprio una cosa fine, ma la prima cosa che ho pensato è stata “la signora deve aver sbagliato funerale!”.

12 mag 2012

parte 4: il Colonnello Bene - Mia madre!


Una delle cose più particolari in casa mia è proprio mia madre. Sempre stressata e di fretta. In genere quando qualcuno di noi fa qualcosa che la irrita lei comincia a imprecare per le scale contro ignoti (a casa mia ci sono ben 6 rampe potete immaginare). Alla fine qualcosa tra quei mugugni fa capire al malcapitato di turno (io, mia sorella o mio padre a scelta) di essere il colpevole di cotanta ira. Solitamente la reazione del poverino è la fuga.
Una mattina mia madre stava gridando come al solito per le scale quando mia sorella, che si era appena svegliata, esce dalla sua camera. L’incontro è stato memorabile. Mia sorella con tutti i capelli arruffati e assonnata si ferma davanti a mamma che continua a gridare qualcosa di incomprensibile. A questo punto mia sorella parla:

  • Mà - pausa-  secondo me è meglio che cambi spacciatore!

Da quando sono a Napoli spesso mi sento un’affittuaria a casa mia. Sono poco partecipe delle cose che vi accadono. Una volta il 13 dicembre, onomastico della mia genitrice, ero appena tornata da Atene per le vacanze di Natale ed è successo un fatto assurdo.
Appena entro in casa mi attende un’accoglienza un po’ diversa da quella del figliuol prodigo….praticamente a casa non c’era nessuno. Squilla il telefono e vado a rispondere:

  • Pronto!
  • Dottorè, mi servono quattro palle e tre candelotti.  - Afferma una voce affannata dall’altro capo del telefono.
  • Scusi? Non ho capito.

Intanto pensavo: ma che cavolo succede in questa casa? Manco un mese e mettono su un nucleo terroristico?
L’equivoco è stato risolto ben presto. I miei genitori stavano vendendo delle candele per beneficenza e alcune avevano forma, per così dire, di “palle” e altre di “candelotti”.
Mamma ha tantissimi pregi, ma ha un difetto assurdo: russa in maniera terrificante; anche papà russa, ma mamma è da Guinnes.
Considerate le sue dimensioni è difficile credere che tutto quel rumore venga da lei.
Una volta sono venuti i ladri in casa. I nostri vicini ci hanno detto che, quando è capitato a loro, sono stati addormentati con un gas. Ai miei genitori non è successo. Di conseguenza è scattata la battutaccia. I ladri avranno pensato che non era necessario addormentare papà se riusciva a dormire con mamma che russava in quel modo di fianco.

Appendice:
Ho dovuto sintetizzare molto la personalità di mia madre che era molto ecclettica. Il mio amore per la cultura, la scrittura e la lettura lo devo solo ed esclusivamente a lei. Mi ha sempre portata in giro insegnandomi ad apprezzare e rispettare cose e persone. Alcuni sono convinti che ci sia un'età giusta per perdere un genitore, ma chi ci è passato come me, sa che non è così. Si sente sempre il bisogno di nascondere la testa tra le braccia di mamma o di papà e di lasciarsi andare alla debolezza come non si può fare con nessun altro. Mia madre è stata con me dall'inizio alla fine e lo stesso ho fatto io. Non si è persa neanche una delle mie recite a scuola. Mi ha accompagnato alle partite di basket.. tutte! E' venuta a trovarmi in tutti i siti archeologici in cui ho lavorato. Quando partivo e non poteva venire con me mi scriveva una letterina, in modo tale che quando mi sentivo sola potevo leggerla e sentirla vicina. Mi ha aiutato a preparare tutte le interrogazioni che ho fatto al liceo e tutti gli esami all'università... mentre lei stirava io giravo torno torno la stanza e ripetevo. Abbiamo anche fatto un viaggio da sole a Cefalonia, dove ne abbiamo combinate di tutti i colori. In sintesi ha fatto la mamma a 360° pur rimanendo uno dei migliori medici che abbia mai conosciuto. Il suo essere mamma non le ha mai impedito di essere donna e professionista. Per scrivere veramente di lei avrei avuto bisogno di un libro intero per cui vi ho regalato solo un assaggio della donna di cui ho l'onore di essere figlia.