26 giu 2012

Biografia non autorizzata di Sara Prossomariti

Un mio caro amico, leggendo delle mie dis/avventure sul mio blog ha deciso di scrivere una biografia (particolarmente romanzata) non autorizzata della mia vita.
Dato che è stupenda e divertentissima la condivido sul mio blog.... buon divertimento!


Sara Prossomariti nacque a in un anno imprecisato della fine del XX secolo da Babbo Geppetto, valente falegname specializzato nell’arte presepiale e già noto per una precedente genitura adulterina di nome Pinocchio, e da Ipazia D’Alessandria, attricetta di avanspettacolo molto apprezzata per i suoi “numeri”, che l’avevano resa famosa in tutto il mediterraneo meridionale  suscitando la gelosia di molti suoi conterranei meno dotati. Dal felice incrocio genetico venne fuori una bambina di aspetto molto piacevole, che univa un’innata propensione per la matematica ad una vivacità eclettica e speculativa orientata alle varie branche dello scibile umano. Unico, lieve difetto della bimba era l’assenza della testa, in quanto il longilineo e armonioso corpo era limitato superiormente dal solo collo. La cosa impensieriva non poco i suoi genitori, imbarazzati nelle loro frequentazioni quotidiane nel presentare una bimba che, pur dotata di capacità e qualità ben superiori alle sue coetanee, era priva dell’attributo terminale del corpo che altri consideravano particolarmente indispensabile. Fu Geppetto che, dopo giorni e giorni di ponderate riflessioni, trovò la soluzione al problema annunciando trionfante alla moglie: “si ‘na cosa adda durà ‘e lignammo le ha fa!”. Si mise quindi alla ricerca di un materiale di qualità che gli consentisse di ricavare un manufatto che si integrasse armonicamente col corpo della fanciulla e, dopo innumerevoli tentativi, riuscì a trovare un solido pezzo di legno di cedro del libano che, sebbene rivelasse una certa vetustà, gli consentiva di produrre la testa desiderata. Il poveretto, tuttavia ignorava che l’acquisto perfezionato al mercato delle pulci del Cairo proveniva dall’albero maestro di un’imbarcazione fenicia miracolosamente trovata integra da un gruppo di tombaroli egiziani. Per questo motivo l’inserimento della testa nel collo della fanciulla produsse una particolare, quanto sorprendente, congiunzione di interessi, in quanto alla naturale predisposizione per le scienze matematiche la bimba associò un’incontenibile inclinazione per la storia antica. Inizialmente tali doti rimasero allo stato di attitudine talentuosa senza mostrare tutta la loro enorme potenzialità, in quanto la piccola Sara cresceva percorrendo i normali percorsi evolutivi dei suoi coetanei, pur dando ogni tanto segni di evidente ecletticità, che alcuni ritenevano stravaganti. Talvolta, anzi, la sua vulcanica e incontenibile estrosità la portava ad assumere comportamenti di disarmante originalità, al punto da indurla a considerare particolarmente divertente trascorrere intere giornate al cimitero trastullandosi tra tombe e lampade votive. In qualche circostanza veniva addirittura assalita da un senso di gioiosa onnipotenza, al punto di fermarsi presso i loculi più appariscenti gridando fino allo spasimo “Lazzaro,vieni fuori”. Tuttavia, constatato che tutti i suoi tentativi venivano frustrati e, soprattutto, che non era in grado di camminare sulle acque dei lidi di Mondragone, il suo estro in materia si inaridì  e cominciò a dedicarsi ad imprese a più basso contenuto paranormale, peraltro sempre condite di eccessi di vivacità e di “rompiscatolità” (licenza poetica). La bambina cresceva sana ed esuberante e, parallelamente, cresceva in lei il bisogno di contatti sempre più energici e vigorosi con i suoi coetanei, al punto di sfociare in interminabili litigi. Anzi, la sua predisposizione al litigio, procurandole un piacere sottile e perverso, la condusse a polemizzare e questionare con tutti al punto che, una sera, al ritorno di una festa, in piena esaltazione analcolica, riuscì a litigare con se stessa per oltre tre ore cu chi aveva la precedenza di entrare in casa. I genitori, preoccupati per l’indomita effervescenza della piccola, che mal si adattava ad un regime regolato da norme condivise, pensarono di incanalare la sua esuberanza facendole acquisire, nel contempo, quelle nozioni che le consentissero di esprimere appieno le sue notevoli qualità, e la iscrissero alla scuola elementare. Qui la piccola Sara ebbe modo di dimostrare subito la sua versatilità riuscendo a ripetere solo due anni la prima, tre la terza e cinque la quinta, ottenendo a ventuno anni la licenza elementare col massimo dei voti. Il ventunesimo fu un anno di svolta nella vita di Sara poiché, resasi conto che la sua inclinazione al litigio rendeva insopportabile l’esistenza a chi l’avvicinava, decise di mitigare le asperità del suo carattere dedicandosi ad uno studio “matto e disperato”. La decisione ebbe un benefico effetto su Sara (anche se non modificò di una virgola la sua vena polemica) che, grazie ai consigli del Prof. Cepu (e tantissimi pollastri donati dai famigliari) riuscì in soli sei mesi a conseguire la maturità scientifica, la laurea triennale e due lauree magistrali in Storia e Archeologia. Da qui prese il volo la fortuna di Sara, e qui avvenne l’evento che segnò indelebilmente la sua vita: l’incontro con Agostino Castellano. Costui era un giovane di bell’aspetto e di positive speranze che, fin da piccolo aveva mostrato particolare predisposizione per l’architettura, costruendo milioni di castelli di sabbia sul litorale della natia Maiori e della contigua Minori. Tuttavia, l’infanzia,  l’adolescenza e la prima gioventù di Agostino erano state funestate da una sorte perversa che si era accanita su di lui con eccessiva malevolenza: infatti dall’età di cinque anni il Nostro aveva manifestato sintomi di “tifo milanista pernicioso degenerante”, una malattia dallo sviluppo lento ma inesorabile che poteva portare alla tomba per la mancanza di medicine adatte a frenarne il decorso. Invano i genitori di Agostino si erano rivolti ai più famosi luminari dell’arte medica e a ben poco erano serviti i rimedi che via, via venivano consigliati. Finchè, in un fausto giorno, un consulto tra Rita Levi Montalcini e Arrigo Sacchi riuscì a mettere a punto una terapia in grado di fermare e debellare il deleterio morbo. La cura, seppure non ortodossa nei termini della medicina ufficiale, consisteva nell’incanalare i malefici effetti della malattia in un percorso che li portava a scontrarsi con l’energia debilitante della litigiosità e della polemica, in modo che ,soccombendo ad essi, non potessero più avere efficacia sulla salute di Agostino. La cura, ovviamente, non poteva che essere a tempo indefinito per cui Agostino, per una corretta profilassi, doveva conformarsi alle caratteristiche  vessatorie e “rompicoglionistiche” (altra licenza poetica) dell’elemento con cui il connubio risultasse armonico. E l’incontro con Sara fu illuminante. Erano le persone che, inconsapevolmente, si cercavano da una vita. Da quel giorno le loro esistenze assunsero un andamento esaltante e gioioso: Sara aveva trovato su chi sfogare la propria esuberanza polemica e litigiosa, Agostino riacquistava ogni giorno vigore e una salute soddisfacente. E la storia continua…. E continuerà almeno fino alle nozze di diamante. 

Vittorio Palma

25 giu 2012

Parte 23: Totò e Peppino in giro per il mondo!


Agostino ha anche salvato uno degli impiegati della segreteria della facoltà di Lettere dalla mia furia omicida. Avevo appena firmato la camicia del mio ultimo esame prima della laurea, quando mi accorgo che la professoressa aveva fatto un errore. Così sono andata in segreteria a effettuare una correzione con uno dei responsabili.
Si trattava di una formalità…ma si è trasformato in un dramma.
§  Salve, avrei un problema!
§  E io che devo fare? – mi risponde garbatamente l’impiegato.
§  Un momento se mi fate parlare. La prof. ha fatto un errore nel registrare questo esame. Dobbiamo fare una correzione. Una cosa da niente.
§  Vediamo.
Dopo aver guardato per un po’ la camicia, mi comunica:
§  signorina questo esame non è nel suo piano di studi. Non è valido!
Agostino, che era con me si è accorto subito che stavo cominciando a innervosirmi.
§  come non è valido. È il mio ultimo esame tra venticinque giorni mi devo laureare.
§  E io che devo fare.
§  Ma ci deve essere un errore. L’esame era segnalato nel piano di studi pubblicato sulla guida dello studente.
§  Ah si ma quelli della guida scrivono quello che vogliono.
La pressione ormai mi era arrivata alle stelle. Fuori pioveva e così noi avevamo l’ombrello. O meglio “io” avevo l’ombrello in mano. Mentre parlavo con l’impiegato ho cominciato ad agitarlo. Agostino se ne è accorto e ha tentato di togliermelo prima che lo usassi come arma impropria. Alla fine il problema è stato risolto. L’idiota con cui avevo parlato non aveva registrato una circolare inviatagli due anni prima e così a lui non risultava quell’esame nel piano di studi da me scelto.
Il secondo viaggio con il mio fidanzato ha avuto come meta la mia tanto amata Grecia, in modo particolare l’isola di Creta. Siamo stati tre giorni ad Atene. L’ho portato in pellegrinaggio per i luoghi del mio Erasmus. Era come se volessi condividere con lui una parte fantastica della mia vita.
Siamo andati in giro per la capitale greca in fiamme. In realtà la situazione era abbastanza tragica in quel periodo. L’Italia e la Grecia erano devastate da una serie di incendi di notevoli proporzioni. Tutti erano preoccupati. Noi, eravamo in pensiero per i miei che erano sulla Salerno-Reggio Calabria ed erano stati deviati per via delle fiamme. I miei, erano preoccupati per noi due, perché le notizie dalla Grecia non erano rassicuranti. In tutto questo preoccuparci ci siamo dimenticati dei genitori di Agostino. Considerati fuori pericolo, in realtà sono stati gli unici ad essere evacuati con la casa a rischio di incendio.
Quando eravamo a Creta ci hanno dato una notizia nefasta. Forse l’aeroporto di Atene sarebbe rimasto chiuso per qualche giorno a causa dell’incendio.
E ora come torniamo a casa?
Chiamo mia madre e le chiedo di cercare su internet il numero del consolato italiano. Mia madre, che era anche lei in vacanza, ha girato il messaggio a mia sorella che era rimasta a casa. La poverina, allarmata, senza chiedere spiegazioni ha subito cercato tutte le informazioni per poi comunicarle via sms in questi termini:
“Consolato generale d’Italia ad Atene, Leoforos Elefterios Venizelos (Thiseios) 135-137 Kallithea tel. 0030 210 9531523… mamma ma che è successo? Hanno arrestato Sara?”
Che considerazione che ha di me la mia famiglia.
A Mátala, sull’isola di Creta, in un ristorantino sulla spiaggia abbiamo conosciuto un signore (il proprietario del locale). Lui è venuto a prendere l’ordinazione. Ebbene credimi se ti dico che era Zorba in persona. Ho ordinato in greco, ma poi ho detto una cosa al mio ragazzo e così Zorba ha capito che ero italiana e ha cominciato a gridare:
  • Oh Italida. Italida. Paola?
  • no
  • Maria?
  • No
  • Laura?
  • No
  • ok Laura.
È così che sono stata ribattezzata con il nome di Laura per il resto della giornata.
Zorba ci ha chiesto di attendere la cameriera che sarebbe venuta prontamente con le portate.
Dopo pochi minuti ci siamo trovati davanti una signora minuscola. Sembrava una Polly Pocket. Ma la cosa più assurda era che aveva almeno ottanta anni. Mi è venuta la voglia di dirle… “prego si sieda faccio io”.
La trattoria era a conduzione familiare, vale a dire che Zorba alla veneranda età di settant’anni era il piccolino di casa. Infatti la cameriera era sua madre e il fratello maggiore era il cuoco.
Abbiamo mangiato benissimo e siccome i greci sono molto ospitali soprattutto con chi prova o sa parlare la loro lingua, a fine pranzo ci siamo ritrovati con tanti pezzi di frutta su un piattone, il tutto offerto dalla casa.
Siamo tornati al nostro albergo ad Aghios Nikolaos con la nostra macchinina in affitto presa presso un concessionario che con tanta fantasia si chiamava “Zorba’s rent a car”.
Dopo una giornata in un acqua park di cui non dimenticherò mai il nome (si chiamava Watercity e si trovava ad Anopolis) al mio ragazzo è venuto qualche decimo di febbre. Credo avesse preso un’insolazione. Siccome aveva già avuto un po’ di “problemini” nei giorni precedenti, ho deciso di scrivere un resoconto dettagliato a mia madre, via sms:
“Allora ricapitoliamo, Ago ha ancora la “palla” nel braccio (trattasi di un piccolo bozzo nel braccio di natura sconosciuta) e l’eritema solare sul gomito, ma ha anche battuto la testa sotto un cartello stradale e si è preso la febbre. Che faccio?”.
Conoscendo mia madre avrei dovuto aspettarmi quella la risposta. Un messaggio laconico diceva semplicemente “Buttalo…”.
Io e il mio fidanzato viaggiamo molto ma soprattutto viaggiamo organizzati. Ogni volta che partiamo stilo un programma dettagliatissimo delle cose da fare. Una specie di tour de force. Siamo stati a Parigi, ovviamente ad Atene e a Berlino recentemente. In viaggio sembriamo Totò e Peppino a Milano, ne combiniamo di tutti i colori.
A Berlino in giro per un quartiere periferico ci siamo imbattuti in alcune signore che parlavano con una cadenza strana. C’è bisogno di spiegare una cosa però, altrimenti non ci capiamo. A Napoli si usa chiamare “vaiasse” quelle donne che hanno la tendenza a fare scenate per strada, a gridare, in pratica ad essere molto rumorose e plateali. Data la cadenza con la quale parlavano queste donne il mio ragazzo mi ha detto:
§  vedi ci sono le vaiasse anche a Berlin!
 Giusto il tempo di fare qualche passo per renderci conto che le vaiasse erano di importazione in quanto, una delle due ha urlato all’altra:
§  va buò t’aspetto cà[1].
L’handicap maggiore che abbiamo avuto nella capitale tedesca è stata la lingua, precisamente l’inglese. Non pensare subito male, non ero io che non lo sapevo parlare (anche se lo parlo come Totò parla il francese) ma erano loro. Un giorno eravamo al ristorante del Ka De We dove, aperta e chiusa parentesi, abbiamo pagato 10 euro un piatto di pasta...va beh, tu dirai “chi te lo ha fatto fare di andare a prendere un piatto di pasta in Germania e nel locale più costoso della città”, comunque lasciamo stare. Una cameriera si è avvicinata ad uno dei banconi del self service e ci ha detto qualcosa in tedesco, ma noi figurati se abbiamo capito qualcosa. Abbiamo detto alla signora:
§  we don’t speack German.
Lei ha ripetuto la frase in tedesco; a quel punto il mio ragazzo si è incazzato e ha detto:
§  we! Non è che se me la ripeti imparo il tedesco e ti capisco così all’improvviso.
Oltre ai viaggi ho anche una passione per la musica classica. Una sera ho portato il mio ragazzo a vedere la Traviata al San Carlo. Bellissima, ma all’ultimo atto non vedevamo l’ora che la protagonista morisse. Dopo lo spettacolo stavamo morendo di fame e l’unico posto aperto era il nostro ristorante cinese. Dico nostro perché ormai è talmente tanto di quel tempo che andiamo lì che quando arriviamo la cameriera non ci fa neanche più ordinare….prendiamo sempre le stesse cose. Quella sera stavano chiudendo quando siamo arrivati. Ci è venuto il serio sospetto che qualcuno potesse sputare nel nostro piatto dato che li avevamo fatti rimanere lì un’ora in più. Io quando ho lavorato nella pizzeria di mio zio ci avrei pensato seriamente.
Il mio ragazzo è quasi perfetto, purtroppo ha un neo bruttissimo, tifa per il Milan. A Napoli è come avere la peste, l’unica cosa peggiore di questa è tifare Juve. Da quando sto con lui ho cominciato a vedere partite di calcio e programmi sportivi. Mi sono anche fatta convincere ad andare allo stadio San Paolo a vedere la partita Napoli-Milan….tra i tifosi napoletani. Un’ansia! All’ingresso i poliziotti mi hanno perquisito la borsa e mi hanno fatto buttare due bottigline d’acqua dicendo che avrei potuto lanciarle e usarle quindi come “arma impropria”. Arrivati dentro però assistiamo alla seguente scena; un ragazzo si mette le mani nelle mutande e comincia a cercare. La mia faccia era uno spettacolo. Non riuscivo a capire cosa stesse facendo. Stava “solo” prendendo un fumogeno che aveva nascosto nel posto  che riteneva più sicuro.
Dopo questa esperienza e l’impossibilità di Agostino ad esultare in quelle condizioni, abbiamo deciso di andare a vedere qualche partita a Milano.
Ci lamentiamo continuamente dei difetti l’uno dell’altra, ma alla fine non riusciamo a vivere senza quelle cose così irritanti e così siamo ancora felicemente insieme. Ma soprattutto stiamo organizzando un altro viaggio….


[1] Trad. Va bene ti aspetto qui.

20 giu 2012

Parte 22: Quel povero disgraziato di Agostino parte 2 - il nostro primo anniversario


Insieme abbiamo viaggiato molto. Per il nostro primo anniversario, molto romanticamente e prevedibilmente, siamo andati a Parigi.
Abbiamo deciso di partire in treno, o come mi ricorda sempre Agostino, “ho deciso” di partire in treno. Era economico e mi sembrava particolare. In effetti è stato così. Il nostro arrivo nella capitale dell’amore è stato fantastico. Erano le sette di mattina, c’era una nebbia molto fitta ed un freddo pungente, ma a noi è sembrato il panorama più bello mai visto prima. Ci siamo messi, cappello e cappotto e siamo andati all’albergo.
Avevamo tanta paura, era la prima vacanza insieme, non sapevamo che tipo di viaggiatore era il nostro compagno e c’era il rischio di litigare o comunque di non pensarla allo stesso modo. Abbiamo invece scoperto con piacere che a tutti e due piaceva macinare chilometri e chilometri e vedere ogni piccolo angolo di quella stupenda città. Anche qui, come al solito non ci siamo smentiti e ce ne sono successe di tutti i colori nel bene e nel male.
Dopo due giorni nella capitale, quando eravamo già stati a Versaille e al Museo D’Orsey e quindi avevamo accumulato quasi trecento fotografie, siamo andati al Pantheon. Qui una guida spiegava ai turisti come il Pantheon di Roma somigliasse a quello di Parigi. Il mio istinto patriottico e, soprattutto l’archeologo che è in me, mi ha portato da quella gentile signora,  per dirle che il grande Agrippa aveva costruito il Pantheon a Roma quando ancora Parigi non esisteva neanche sulla cartina geografica.
Il Pantheon rimarrà sempre impresso nella mente di Agostino. Era proprio il giorno del nostro anniversario quando ci siamo andati e subito dopo essere entrati ci siamo accorti che ci avevano rubato la macchina fotografica.
Il prossimo che parla male dei napoletani e li definisce “mariuoli”[1] si becca una bella legnata in testa. A quanto pare la gentaglia non popola solo la capitale partenopea. Del resto non mi meraviglio dato che in queste grandi metropoli vivono persone molto diverse tra loro…nel bene e nel male.
Al problema fotografie inizialmente abbiamo ovviato con una modernissima macchina fotografica usa e getta. Ricordo ancora quando eravamo davanti al museo medievale volevo farmi fare una foto da Agostino. Lui è andato dall’altra parte della strada e io mi sono messa in posa. Dopo due o tre minuti gli ho chiesto come mai non scattava:
  • Amò ma che stai facendo, perché non scatti?
  • sto cercando lo zoom, non lo trovo.
  • Ago ma quale cazzo di zoom vuoi che ci sia su una macchina usa e getta?
Avevamo assolutamente bisogno di una macchina fotografica più moderna, Agostino con tutti quei pulsanti di plastica, niente flash e niente zoom stava per dare i numeri. Così siamo andati alla Fnac e ne abbiamo presa una con tanti pulsanti, proprio come piacciono a lui.
Al Louvre poi non ne parliamo. Quel museo è enorme, una cosa inimmaginabile. Dopo cinque ore avevamo visto tutte le collezioni al pian terreno e mancavano ancora due piani. Il risultato è stato che la sezione fiamminga all’ultimo piano è stata notevolmente bistrattata. Vedere la Gioconda poi è stata un’esperienza surreale. Chissà perché ci immaginavamo un quadro bello grande, invece ci siamo ritrovati davanti un quadretto. Era posizionato in solitaria su un’enorme parete bianca che dava l’impressione che fosse ancora più piccolo. Sembrava che desse il benvenuto solo a noi italiani, con un sorriso speciale per noi. Mi sono sentita molto fiera all’idea che il logo del Louvre fosse un’italiana.
Davanti alla Gioconda noi siamo rimasti in silenzio a guardarla, come se avessimo ritrovato una vecchia amica. Ad un tratto però è arrivata una scolaresca italiana. Era l’inverno del 2006, il che significa che eravamo da qualche mese campioni del mondo di calcio e che avevamo vinto la finale proprio contro gli amati cugini francesi.
Questo gruppo di ragazzi tutto disordinato, giunto davanti alla Gioconda si è improvvisamente ordinato. Una fila di persone una accanto all’altra. Tutti li hanno guardati incuriositi e nella sala del museo così piena di turisti è calato un silenzio strano. Attirata l’attenzione i ragazzi si sono poi messi la mano sul cuore e hanno cominciato a cantare l’Inno di Mameli.
Sono stati unici.
Le guardie della sala sembravano abbastanza contrariate. Ne andava dell’onore della nazione sia a livello culturale che, ancor più drammaticamente, a livello calcistico.
Io ero voluta andare a Parigi anche perché ho una passione innata per un artista italiano emigrato ai primi del novecento a Parigi. Si tratta di Amedeo Modigliani, noto ai più anche come Modì. Modigliani è morto a Parigi ed è stato sepolto insieme alla sua compagna nel cimitero di Pére Lachaise. Così siamo letteralmente andati in pellegrinaggio al cimitero per vedere la sua tomba, salvo scoprire che lì c’era anche la tomba di un altro grande uomo…mister Oscar Fingal O’Flahertie Wills Wilde, o semplicemente Oscar Wilde.
La tomba di Modigliani mostrava quanto al momento della morte fosse povero. È una lapide semplice al contrario del famoso dandy al quale è stata tributata una scultura che rappresenta una donna in volo. Sotto, tutte le donne che sono passate di lì hanno impresso con il rossetto il segno delle loro labbra.
Il ritorno in treno è stato abbastanza stancante. Aveva piovuto e così siamo arrivati alla stazione tutti e due bagnati fradici. Durante la notte Agostino non si è sentito bene. Tanto per cambiare. Dovevamo fare due soste. Una alla dogana svizzera e un’altra a quella italiana. Nei bagni è chiaramente scritto che non si possono usare le toilette quando il treno è fermo. Alla dogana italiana siamo arrivati verso le tre di notte e le pratiche da espletare richiedevano un po’ di tempo. Noi dormivamo quando ho avuto impellente bisogno del bagno. Nel dormiveglia non mi sono resa conto che il treno era fermo e così sono andata. All’improvviso una bussata violenta alla porta mi sveglia completamente:
§  C’è qualcuno in bagno? – sento gridare dall’esterno.
§  Si, è occupato!
§  Ma come occupato! Esca subito!
§  Si si un momento.
Quando esco mi ritrovo davanti un poliziotto della dogana inferocito che, a causa delle mie risposte idiote, aveva un colorito rossastro in viso abbastanza preoccupante.
§  Signorina non si può andare in bagno mentre il treno è fermo!
Sembrava che la vena sulla fronte stesse per esplodergli.
§  Mi scusi non mi ero accorta che il treno era fermo. Sono mortificata. Se vuole le prendo i documenti.
§  C’è anche scritto che non si può andare in bagno mentre il treno è fermo!
§  Si lo so ma, come vi ho già detto, non mi ero accorta che il treno era fermo. Stavo dormendo in piedi.
§  Ma non sa leggere?
A quel punto mi sono innervosita.
§  Mi scusi ma ormai la pipì l’ho fatta non è che posso riprendermela indietro.
Intanto Agostino si era accorto che non ero nel mio lettino e sentendo le urla del poliziotto ha capito subito cosa stava succedendo ed è venuto a salvare…il poliziotto!


[1] Ladri.

18 giu 2012

Parte 21: Quel povero disgraziato di Agostino. parte 1


Io e Agostino ormai siamo insieme da sei anni e mezzo. In pratica abbiamo vissuto in una camera doppia in pensione per 4 anni. Quindi non è stata una convivenza, peggio. Immaginate di stare in venti metri quadrati tutti i giorni insieme. Beh è già difficile con un amico figuriamoci con un fidanzato. Noi però abbiamo sviluppato una tecnica. In pratica, quando uno dei due è intrattabile, l’altro letteralmente lo ignora. Ciò non toglie che i litigi ci siano e non puoi neanche immaginare per quali stupidaggini si litighi. Cose al limite del paradossale. Ora abbiamo una casa e quindi quando litighiamo almeno uno dei due se ne può andare nel bagno.
A volte mi chiedo come sia possibile. Io ho un carattere molto particolare, o almeno io lo definisco così, altri direbbero che ho un caratteraccio. Comunque nonostante ciò Agostino ha imparato come prendermi, con alti e bassi naturalmente.
Io letteralmente adoro la serie di Don Camillo, e anche a lui piace tantissimo, mentre invece molti miei coetanei non sanno neanche chi siano Don Camillo e Peppone. Tutte le sere dopo aver visto un film alla televisione, mettiamo il DVD di Don Camillo o qualche commedia di Salemme, così ci addormentiamo tranquilli o meglio io dormo tranquilla. Ma secondo te chi avrebbe sopportato di vedere lo stesso DVD per centinaia e centinaia di volte? Comincio a credere che nel Simposio Platone avesse ragione. Ci hanno divisi e tutto sta nel ritrovare la propria metà.
Non è tutto rose e fiori però. Lo faccio disperare. In genere io mi addormento sempre prima di lui. Lui è più nottambulo, io alle 10 tendo già allo stato comatoso lui invece prima delle 2 non dorme. Io mi sveglio alle 5 di mattina e lui alle 8/8 e 30. Siamo praticamente fatti l’uno per l’altra. La domenica ci mettiamo a letto e mettiamo il solito DVD mentre lui aspetta pazientemente che mi addormenti per vedere controcampo. Appena mi addormento cambia canale e il risultato è sempre lo stesso: mi sveglio e comincio a fare i capricci come i bambini finché non rimette il DVD. E quando poi, dopo soli tre secondi, mi riaddormento di nuovo, non cambia neanche più canale. 
Per farvi capire che tipo è Agostino…dopo due mesi che uscivamo insieme gli ho scritto un sms:
Ti amo.
Era la prima volta che glie lo dicevo, un momento romantico, di quelli che poi restano impressi per tutta la vita e lui mi ha risposto a sua volta con un sms:
E tu così a sangue freddo me lo dici?
Romantico vero? Sono queste le cose che ti scaldano il cuore. Io gli ho fatto notare che l’unica alternativa era dirglielo cantando con un tamburello in mano ma non mi sembrava il caso.
Certo è che glie ne ho combinate talmente tante che se non mi ha lasciata finora vuol dire che mi ama davvero.
Una sera eravamo andati al cinema. Un multisala che si trova a Napoli. Uscivamo insieme da qualche mese. Abbiamo visto Tristano e Isotta, una cosa molto allegra. Diciamo non proprio il suo genere. Usciti dal cinema, a metà strada da casa, cerco il cellulare in borsa per chiamare mamma. Io, degna figlia di mia madre, ho una borsa talmente piena di cianfrusaglie che sembro Mary Poppins. C’è di tutto, portafoglio, fazzoletti, chiavi, ago e filo, penne e chi più ne ha più ne metta. Cerco cerco e… si verifica il dramma…il cellulare non c’è. Oddio l’ho perso! E ora come faccio? Il panico aumenta sempre più fino a che non mi faccio prendere letteralmente da una crisi isterica. Avevo tutti i suoi messaggi salvati sul telefonino.
Oddio!
Prendiamo subito un taxi e, sempre in modo molto convulso, torniamo al cinema per tentare di ritrovare il famoso cellulare. Il secondo spettacolo era già iniziato e io convinco la maschera a farmi entrare con una torcia. Mi metto gattoni a cercare sotto il piedi di tutti quelli seduti in sala. Tutti mi devono aver presa per pazza. Niente da fare. L’ho perso. In tutto questo tempo Agostino mi aveva pazientemente assecondato nella mia follia. Torniamo a casa a piedi. Io in una valle di lacrime continuavo a ripetere che ero sicurissima di averlo con me. Anzi, quando Agostino insisteva chiedendomi se non era possibile che lo avessi dimenticato a casa mi sono anche offesa e ho cominciato ad inveire contro di lui. Rientrati in pensione, apro la porta della mia camera ed ecco il mio cellulare beatamente posato sulla scrivania.
Credo che quella sera Agostino abbia seriamente pensato di pestarmi a sangue. Che pazienza infinita che ci vuole.
Come dice sempre lui, abbiamo litigato nei posti più belli delle nostre vacanze…. In Sardegna abbiamo litigato al mare; a Parigi, ovviamente, sotto la Tour Eiffel; in Grecia, appena siamo sbarcati a Santorini. Per fortuna abbiamo evitato di fare storie almeno sotto la Porta di Brandeburgo, anche se in realtà ci è mancato poco.
A volte davvero non riesco a capire come quel sant’uomo riesca a sopravvivere al mio fianco. Non è cosa facile, anche perché abbiamo un altro problema un po’ particolare: i regali.
Ogni volta che lui decide di farmi un regalo riesco a rovinare tutto, ovviamente involontariamente. Quando abbiamo festeggiato sei mesi insieme c’era il Festivalbar a Napoli. Siamo usciti con gli amici per andare a vedere il concerto ed io gli ho fatto una scenata perché sostenevo che avrebbe dovuto farmi almeno un pensierino. Per la precisione le mi esatte parole sono state:
  • E che cavolo Ago, io volevo un fiore, una scemenza, mica la colazione a letto!.
A questo punto lui ha cominciato a gridare dicendo che gli rovino sempre le sorprese. Poverino aveva comprato un vassoio di vimini, una tazza con sopra scritto il mio nome con tanto di piattino; per completare aveva anche comprato i miei cereali preferiti e una rosa. Il tutto per portarmi la colazione a letto. Volevo morire.

13 giu 2012

Parte 20: il mio amico Georg


Dopo esserci stata decine di volte, un giorno sono andata a Micene con Georg. Essendo l’archeologa del gruppo accompagnavo un po’ tutti: parenti, amici e parenti di amici. D’inverno il pulmann lasciava i turisti davanti a un cartello, che precedeva una salita, sul quale c’era scritto “Micene 3 km”. Così con tanta santa pazienza abbiamo cominciato a camminare rassegnati. Dopo un po’ abbiamo trovato un altro cartello “Micene 2 km”. E fin qui tutto regolare. Il problema è cominciato quando a distanza di un chilometro uno dall’altro sono comparsi dei cartelli che dicevano “Micene 500 m” ma Micene non si vedeva neanche con il binocolo.
Una volta arrivati siamo andati in giro per gli scavi. Entrati nella tomba di Atreo ci siamo messi a ridere e a chiacchierare. Un signore ci ha notato e ci ha detto in inglese che eravamo molto carini insieme e poi ci ha chiesto se volevamo farci fare una foto. A questo punto Georg da buon Viennese ha accettato contentissimo poi, rivolgendosi a me sottovoce ha elogiato la bontà d’animo dell’uomo. Io, da buona Napoletana ho istintivamente pensato….questo mò si fotte[1] la macchina fotografica. Per fortuna aveva ragione Georg, si trattava di una brava persona, altrimenti chi ce la faceva a rincorrerlo lungo tutta quella strada.
Io e Georg fingevamo sempre di essere come Ettore e Achille, ovviamente io ero il giovane ed incosciente Achille. Abbiamo anche visto insieme in inglese il film Troy. Ricordo che quando sono partita mi ha scritto un bigliettino con una frase della colonna sonora del film: Remeber I will never leave you, if you will longly remember me. Io per il mio eroe ho anche scavalcato il cancello di un’area archeologica chiusa. Avevo da poco scoperto che c’era un tempio di Era ad Argo e che secondo la leggenda lì avrebbero giurato fedeltà ad Agamennone tutti i re che partirono per combattere a Troia. Lì quindi c’era stato anche il mio amato Achille. L’area archeologica però era chiusa e così ho deciso di scavalcare. Non avevo intenzione di fare alcun tipo di danno, ma solo di andare là dove erano stati i miei eroi.
Una sera tornando da Ostria, indossavo delle scarpe con dei tacchi altissimi (non li porto quasi mai…. e possiamo anche togliere il quasi). Il dolore ai piedi era lancinante e così mi sono tolta le scarpe. Ho costretto Georg a camminare per 2 km a piedi: io scalza e lui con le mie scarpe in mano.
Un giorno Georg si è rotto il piede e così sono diventata la sua assistente. Per ricambiare decise di preparami un piatto di pasta. Le parole precise furono:
-          ti ho guardata spesso e ho imparato come si cucina.
Preparò dei bucatini. Mamma mia! Li ha lasciati così tanto tempo nell’acqua a bollire che ogni bucatino sembrava un tubo dell’acqua. Si poteva guardare da una parte all’altra del buco.
La cosa più interessante dell’Erasmus era poter imparare nuove lingue, in particolare parolacce. Dopo un paio di mesi ero capace di dire qualsiasi ingiuria in Greco e Spagnolo (la propensione per  le parolacce come puoi capire è un retaggio dell’infanzia). Un giorno io e una mia amica ci siamo viste per un caffè. Io ero con Georg; lei era con un ragazzo polacco.
Mentre chiacchieriamo Georg volendo fare sfoggio di quello che aveva imparato in italiano con me, ha cominciato con un elenco di parolacce chiuso da “que palle” e “que schifo”. Il polacco, a sua volta, decise di fare concorrenza al mio amico austriaco e così cominciò “io ho, tu hai, egli ha......” con una “h” tutt’altro che muta. Io ho cominciato a ridere come una pazza.  Mi chiedo ancora oggi, a distanza di cinque anni, perché mai Laura gli avesse insegnato i verbi.
Il due gennaio di quello stesso anno ho deciso di partire per Creta, da sola. Da Atene non è un viaggio molto lungo, ma siccome dovevo fare economia avevo deciso di prendere la nave. Oltretutto con il tesserino Erasmus avevo diritto al 50% di sconto su ogni tratta e quindi nave fu. Meno male che mi ero portata dietro uno di quei libri formato mattone perché è stata la “vacanza” più strana della mia vita.
Dico strana perché non è stata brutta, ma neanche bella.
Il viaggio l’ho fatto dormendo su una sedia circondata da tanti giovani militari che mi hanno galantemente e silenziosamente fatto da scorta. Verso le 10 di sera si sono stesi in cerchio attorno alla mia sedia e si sono messi a dormire. Sono arrivata alle cinque di mattina a Iraklio e di lì mi sono dovuta spostare a Rethimno. Arrivata all’ostello ecco la prima sorpresa…era proprio un ostello. Un edifico per dire così, abbastanza “fatiscente”; con stanze chiuse da una porta di legno, ovviamente senza chiave e, il bagno all’esterno. Prova ora ad immaginare com’è fare una doccia en plain air quando fuori ci sono appena cinque gradi e la sera prima ha nevicato. Ci è voluta tanta forza di volontà.
Alloggiavo in questo posto con tre persone. Un professore di botanica della Borgogna in anno sabbatico. Un ex docente universitario scozzese e per concludere, una simpatica signora inglese stile Miss Marple. Ti posso assicurare che non sto esagerando.
La prima sera ero disperata. Ero andata lì per studiare i siti e le ceramiche minoiche e ogni museo o sito archeologico chiudeva al calare del sole, vale a dire alle cinque del pomeriggio. Il problema fondamentale era…cosa fare di tutto quel tempo libero? Il libro l’avevo concluso dopo due giorni; l’ostello aveva una sala comune riscaldata da una stufetta a gas (l’unica stanza calda) e lì leggevo un po’. La seconda sera gli altri tre inquilini mi hanno arruolata per fare un gioco con le carte francesi e così ho fatto amicizia con loro. 
In giro per l’isola d’inverno non c’è nessuno per cui dopo due giorni tutti sapevano che c’erano degli stranieri e poco ci avevano messo a capire che “l’italida[2]” ero io. Mi sembrava di essere stata catapultata all’improvviso nel film Zorba il greco. Continuava a piovere. È stata un’esperienza surreale. Ho anche visitato gli scavi di Crosso a nuoto (aveva piovuto tantissimo) e non credo che sia una cosa comune; anche se a dire la verità quel giorno c’era un altro pazzo come me al sito che andava in giro in ombrello.
Tre anni dopo sono tornata con il mio fidanzato in quella bellissima isola, per cancellare un po’ di brutti ricordi legati alla solitudine.
Lo dico sempre che per chi torna dall’Erasmus ci vorrebbe l’assistenza di uno psicologo. Il posto in cui si fa questa particolare esperienza diventa una seconda patria, una specie di isola che non c’è. Poi per me che sono napoletana è stata ancora più particolare, perché per i greci non siamo come dei fratelli, infatti ogni volta che mi trovavo a parlare con un greco e veniva fuori che ero Napoletana mi dicevano sempre “mia faccia, mia razza”, “una faccia, una razza”. In effetti è così. I greci, proprio come i napoletani quando danno un appuntamento dicono “ci vediamo intorno alle cinque”. Quell’intorno oscilla dalle 4 e 30 alle 5 e 30. Inoltre i greci gridano e parlano gesticolando. Ma il bello di quella terra è proprio questo: sono come i napoletani, solari, amichevoli, ma senza camorra…praticamente la perfezione.
La domenica spesso con i miei amici andavamo a fare delle gite in giro per la Grecia come ti ho detto. In genere prediligevamo il Peloponneso; era collegato meglio ad Atene. Quasi subito abbiamo scoperto che a Nauplia c’era un bar gestito da una signora italiana, una gelateria per la precisione. Non so quante volte ci siamo andati, ma ricordo bene la prima volta. Eravamo una decina di persone. La mattina eravamo andati ad Argo. Io da buona napoletana/calabrese mi ero portata dietro una frittata di pasta e una torta. Il pomeriggio ci siamo spostati a Nauplia e ci è venuta voglia di gelato. Siccome con me erano rimasti gli altri due italiani del gruppo ci siamo fermati a questa gelateria che si chiamava “Roma”. Entrati scopriamo che la proprietaria si era trasferita in Grecia per amore e che la signora era per l’appunto di Roma. A quel punto comincia l’interrogatorio:
  • Da dove venite?.
 A turno cominciamo a rispondere. Chi era di Genova, chi di Torino. Quando arriva il mio turno rispondo:
  • Io sono di Napoli.
All’improvviso quattro energumeni che erano seduti ad un tavolino si sono alzati in piedi di scatto e hanno cominciato a gridare entusiasti:

  • Napoli, mare, Maradona.
Poi mi hanno stretto la mano e mi hanno chiesto:ù
  • Come sta Maradona?
Io completamente stranita da quella domanda rispondo:
  • E io che ne so? Maradona non sta più a Napoli.



[1] Ruba.
[2] “Italida” significa “italiana” in greco moderno.

10 giu 2012

Parte 19: La famiglia Prossomariti ad Atene!

In Grecia i film che passano in televisione sono in lingua madre con i sottotitoli in greco. Dopo un po’ di tempo si comincia a sentire la nostalgia di casa, o meglio, viene voglia di vedere un film senza stare lì a tradurre ogni parola. A me piacevano tantissimo i film di Van Damm, infatti lì gli attori parlano molto poco, per non parlare del cartone animato Pingu: che Dio lo benedica! Un giorno abbiamo scoperto che sarebbe andato in onda il film Mediterraneo, in italiano e così ci siamo organizzati per vederlo tutti insieme noi italiani, come se fosse stata una partita della nazionale. Giovanna, una mia amica di Pesaro, ha preparato una delle sue torte al cioccolato e così la nostra piccola Little Italy ebbe modo di sentire meno la nostalgia di casa.
Se penso a quante ne ho combinate in Grecia, mi meraviglio che a mio padre non sia venuto un infarto.
Una sera, alle 23, l’ho telefonato per dirgli che stavo prendendo un treno per andare ad Istanbul, in Turchia. Eravamo una ventina di ragazzi e abbiamo fatto chilometri e chilometri in treno, per un totale di quasi 48 ore di viaggio. Il primo tratto era da Atene a Salonicco. Poi a Salonicco abbiamo preso un treno che ha fatto sosta in un paese, se così vogliamo definire tre case con pollaio e una stazione. Qui siamo scesi e la polizia di frontiera ci ha gentilmente fatti accomodare in uno stanzone, con altre 40 persone. In questa stanza c’era una stufa di quelle anni ’20 in ghisa e, dato il freddo, ci siamo ammassati tutti lì in attesa che venissero effettuati i controlli sui passaporti. Dopo diverse ore ecco arrivare un poliziotto che ci comunica che il treno per Istanbul è in partenza. Noi usciamo e ci mettiamo ad aspettare con le valige su un marciapiede vicino ad uno dei binari. Dopo circa 10 minuti ricompare il poliziotto che ci chiede come mai non saliamo sul treno. A quel punto abbiamo capito che il nostro treno non doveva arrivare da un’altra stazione, ma era quella specie di locomotiva a vapore che stava di fronte a noi e che credevamo fosse abbandonata.
Ovviamente per andare in Turchia ci vuole il passaporto. Io avevo avviato le pratiche a settembre e avevo ritirato il mio documento alla questura di Caserta durante le vacanze di Natale. Fabrizio aveva realizzato solo cinque giorni prima della partenza di essere sprovvisto di passaporto. Quando sono tornata a casa mi sono messa a parlare con Giovanna:
  • Giovà ma hai capito a Fabrizio. Voleva venire in Turchia e non ha il passaporto!
  • Ah si? Perché ci vuole il passaporto?
  • Mamma mia Giovà mò ti ci metti anche tu!
Eravamo riusciti a trovare il numero di telefono del consolato italiano ad Atene e volevamo chiedere a qualcuno se c’era il tempo di fare il passaporto per la data in cui dovevamo partire.
  • Pronto. Qui è il consolato italiano di Atene! – afferma una voce molto professionale all’altro capo del telefono.
  • Ah ma parla italiano! – dichiaro io nel pieno di una delle mie fasi alla oca giuliva.
  • Uh Gesù signorina perché che lingua dovevo parlare? – affermò l’operatore sconcertato
Il giorno dopo siamo andati io e Fabrizio al consolato. Giovanna aveva i corsi così le ho avviato io le pratiche. Abbiamo ricevuto i due passaporti circa sette ore prima di partire.
Dopo una bellissima, ma piovosa, settimana nell’antica Costantinopoli, tre amici nostri che erano partiti per Atene un giorno prima di noi, ci hanno comunicano che stavano tornando indietro perché la neve bloccava i binari del treno e le partenze erano quindi state sospese a tempo indeterminato. Ora, dico io, come è possibile che vado in Sicilia e nevica, vado a Istanbul e nevica, vado in Grecia per una vacanza e il Peloponneso va a fuoco. Ti giuro che la prossima volta che decido di partire avviso la protezione civile. Comunque, a quel punto ho dovuto chiamare i miei per avvisarli. Vado alla cabina telefonica e, con la scheda internazionale, telefono a casa. Pioveva, o meglio nevicava, solo che la neve non si posava a terra. Ero bagnata fradicia e speravo che i miei rispondessero subito per tornare prima possibile in albergo.
Risponde papà:
  • papà sono io – gridavo al telefono per coprire i rumori che provenivano dalla strada.
  • Non ti sento bene.
  • Papà sono bloccata ad Istanbul…..tututututut.
Porca miseria è caduta la linea perché ho finito il credito. Torno all’ostello in cerca di qualcuno che abbia una carta internazionale. Era domenica e i negozi erano chiusi. Ero disperata e nessuno sembrava capire il mio dramma. Se non avessi richiamato subito casa per avvisare che ero bloccata ad Istanbul per la neve e non perché mi avevano sequestrata, sarebbero arrivati in pochi minuti ambasciatore, console e chi più ne ha più ne metta. Alla fine mia madre riesce a trovare il numero del mio ostello e mi chiama lei così l’allarme rientra.
Uno dei posti più belli di Istanbul è il Gran Bazar. Qui è d’obbligo contrattare sul prezzo delle merci che in partenza è molto, troppo alto. Fabrizio è venuto con me dicendo che non era in grado di tirare sul prezzo, non rientrava nelle sue doti. Con un’ironia pungente gli ho detto:
  • ma come scusa…non sei genovese?
In risposta ovviamente ho ricevuto uno sguardo torvo.
 Dopo neanche dieci minuti che eravamo al Bazar l’ho trovato che stava discutendo con un commerciante che voleva dieci euro per delle tazzine e lui glie ne voleva dare solo due. E meno male che non sapeva contrattare. Abbiamo comprato anche diversi chili di thè alla mela verde in polvere.
Fabrizio ha avuto il piacere di impattare anche con mia sorella. La mia famiglia mi è venuta a trovare quando stavo ad Atene per festeggiare i venticinque anni di matrimonio dei miei. Sono stati con me quattro giorni. Era novembre e quindi il clima non era dei migliori. Quando sono arrivati, mamma ha scaricato dalla macchina uno scatolone enorme. Da buona mamma napoletana, mi aveva portato: 3 pezzi di pane di casa (comprati dalla nostra panettiera detta La Zuzzosa, che è tutto dire!), freselle, pomodori, origano, salsiccia e cioccolata. Sembrava che fossero arrivati gli aiuti umanitari. La sera dell’anniversario abbiamo cenato tutti insieme, con tanto di suonatore di bouzuki in un ristorante a piazza Monastiraki. Poi ci siamo divisi. Io e mia sorella abbiamo lasciato soli i piccioncini e siamo andate a Ostria. Arrivate lì ho cominciato le presentazioni:
  • Anna questo è Georg, viene da Vienna.
  • Nice to meet you Anna.
  • questa è Paloma, viene dalla Spagna come anche Tolo. Poi c’è Claudia che è tedesca e questo è Fabrizio.
Fabrizio comincia a chiacchierare con mia sorella .
  • come ti trovi qui Anna?
  • Bene!
  • ti piace Atene?
Il tutto per farla sentire a suo agio dato che avevo anticipato a Fabrizio che Anna non parlava ben l’inglese.
Dopo una mezz’ora di chiacchiere mia sorella mi avvicina e sotto voce mi dice:
  • Sara ma lo sai che Fabrizio parla proprio bene l’italiano.
Al che scoppio a ridere e dico, sempre sotto voce:
  • Anna, Fabrizio è di Genova.
Anche Fabrizio si è divertito molto, tanto che, qualche mese dopo che sono rientrata in Italia mi ha mandato una cartolina con una veduta del porto di Chiavari:
Ma quanto è bello il porto di Chiavari? Belin! Ve la sognate un roba del genere dalle tue parti! Per Natale avrei voluto fare un cd con il filmino dell’Erasmus e mandare quello, ma non sono ancora riuscito a far funzionare quel malaka di computer.
Perciò, ebbéccati ‘sta cartolina!
Magari falla leggere anche a tua sorella: resterebbe sorpresa dal fatto che so pure scrivere in italiano.
Una delle tante sere in cui sono andata a ballare con i miei amici, ci hanno raggiunto degli altri erasmus da Salonicco. Io non li conoscevo. Uno di questi mentre ballavo si avvicina e mi comincia a parlare in inglese. A questo punto io faccio l’occhiolino ad una mia amica italiana e mi metto a prenderlo in giro rispondendo in inglese. Dopo una mezzora che ballavamo un suo amico lo chiama:
  • Aurelio dai andiamo in un altro posto.  
  • Aspetta Antonio che a questa me la porto stasera[1].
Io allora ho risposto:
  • Non penso proprio
E lui:
  • marò che figura di merda.

Questa era una serata tipo.


[1] Espressione che vuol dire avere progetti sulla serata molto piccanti.

8 giu 2012

Parte 18: L'erasmus ad Atene


Alla fine del secondo anno di università avevo fatto tanti di quegli esami da essere completamente fusa. Causa stress da troppo studio e problemi sentimentali, ho deciso di fare domanda per l’Erasmus.
Ricordo ancora che presentai la domanda per la selezione senza pensarci su troppo. Cosa abbastanza strana dato il mio carattere. Credo sia stata una delle due sole volte nella mia vita in cui ho seguito il detto Carpe Diem e ne sono stata felicissima. Solitamente io la penso in modo diverso: Carpe Diem si ma aspettate un attimo fatemi valutare tutto con calma
Le selezioni consistevano in una prima valutazione della media dei voti. Superato questo gradino bisognava fare un test scritto in inglese o nella lingua del posto in cui si intendeva andare. Io, ovviamente, avendo scelto come mete papabili Atene e Patrasso, ho fatto l’esame in inglese; di farlo in greco moderno non se ne parlava proprio.
Dopo il test abbiamo aspettato tutti insieme, circa 150 persone in un piccolo cortile interno dell’università per quattro interminabili ore. La prof. arrivò con dei fogli in mano. Diciamo che non era proprio il prototipo di donna dolce e comprensiva. Disse che le persone che chiamava avrebbero dovuto seguirla.
Il mio nome non venne pronunciato, come anche quello di altre 50 persone. Ok, sarà per un’altra volta. Avevamo cominciato tutti a mettere a posto libri e penne. Stavamo chiudendo le borse per andare via quando ritorna la prof. e ci comunica che aveva accompagnato fuori quelli che non erano stati selezionati e che ora toccava a noi sostenere un colloquio orale.
Sono stata in Grecia per sei mesi ed è stato amore a prima vista. È stato terapeutico. Ero stressantissima. Uno dei primi giorni in cui ero lì, avevo appena trovato casa ed ero molto avvilita perché non conoscevo nessuno e dovevo al più presto presentare dei documenti all’ufficio Erasmus di Atene. Entrai in un ristorante. Mi ricordo che chiesi una pita al cameriere facendo capire che andavo di fretta, molto di fretta.
A quel punto il cameriere mi disse la prima cosa che ho imparato in greco moderno:
- Kiria sigà sigà!…. Signora piano piano!
Effettivamente quello di cui avevo bisogno era imparare ad andare con calma. Il mio stress non era altro che il frutto della fretta. Sembro percorsa continuamente dall’inquietudine. Quando ero in Grecia mi sono rilassata tantissimo, ma appena sono tornata in Italia l’effetto benefico è svanito e lo stress è tornato alle stelle. Per questo motivo almeno una volta all’anno torno nella terra del mito per fare la mia terapia.
Molto spesso sento parlare della Grecia come di un paese arretrato, ma credo sia proprio questo fattore ad aver preservato i Greci dallo stressarsi eccessivamente. In molti paesi dell’Europa occidentale ormai sembra che si debba trascorrere la propria vita a dimostrare qualcosa a qualcuno. La pressione comincia quasi subito. Da piccolo ti insegnano che non bisogna dire parolacce o fare pensieri cattivi e, così ti ritrovi ad autoflaggellarti per aver mandato a quel paese qualcuno o per aver provato invidia per un amico. Poi comincia la scuola. Soprattutto all’università bisogna dimostrare di essere eccellenti e lo si deve fare anche molto rapidamente. Sempre in tempi ristretti, ci si deve trovare un lavoro, altrimenti si finisce nell’interminabile lista dei disoccupati o in quella dei precari. Dimmi tu come si fa a non essere stressati. Nel mio caso poi oltre il danno c’è stata anche la beffa: ho fatto tutto al massimo livello, rapidissimamente e poi? Sono disoccupata comunque. Tanto valeva stressarmi di meno.
Ultimamente mi sono ritrovata a farmi una domanda: se nell’arco della giornata devo studiare/lavorare, cucinare, pulire la casa, intrattenere rapporti di amicizia…quando lo trovo un po’ di tempo per me?
D’altra parte la Grecia mi ha anche fatto del male indirettamente. Lì ho conosciuto delle persone speciali, con una cultura immensa e con le quali parlare era un piacere. Purtroppo però tutte queste persone ormai le sento saltuariamente, causa chilometri e chilometri di distanza.
Ricordo ancora perfettamente l’incontro con una di queste persone, quella che mi ha colpito di più per la sua inteligenza e cultura: Fabrizio Lombardo.
Genovese di origini e dal cuore Sampdoriano, Fabrizio l’ho conosciuto dopo un mese che ero ad Atene. Eravamo nel locale dove ci riunivamo con tutti gli erasmus, Ostria. Era un sabato sera e ci stavamo organizzando per la domenica. Spesso andavamo a fare delle escursioni, più o meno lunghe e seconda degli impegni. Per quella domenica avevamo deciso di andare ad Epidauro e lui si era unito a noi. La mattina dopo avevamo appuntamento alla fermata dei pulmann per il Peloponneso. Data la condizione geologica della Grecia una rete ferroviaria valida è praticamente impensabile, per cui si fa uso dei pulmann, che a dirla tutta funzionano in modo molto efficiente.
Faceva un po’ freddo quella mattina e il tempo non prometteva bene. Fabrizio si presentò con un giubbino di jeans molto leggero e nella tasca interna del giubbino aveva la sua fedele videocamera.
Sul pulmann abbiamo parlato molto poco dato che io ho dormito per tutto il tragitto. Eravamo circa una decina di persone. Se non ricordo male quattro italiani, cinque spagnoli e una ragazza lituana. Il pulmann ci ha lasciati a quasi due chilometri dal sito, ma kanena provlima[1].
Mentre facevamo una pausa mi sono seduta su una pietra ed ho notato un albero per metà ricoperto di foglie e per metà spoglio. Mi sono ricordata della descrizione del mito di Protesilao e Laodamia fatta da De Crescenzo nel suo libro I miti dell’amore. Nel brano si racconta che il giovane era stato il primo a scendere sul suolo troiano e quindi anche il primo a morire, come predetto dall’oracolo. Dopo la morte era stato sepolto sotto un albero che, sul lato che dava verso la Grecia, era pieno di foglie, su quello che era rivolto verso Troia , il luogo in cui morì, era spoglio.
Quello di Protesilao non è un mito molto famoso, bisogna essere degli appassionati per conoscerlo e così quando Fabrizio ha detto:
  • sembra l’albero di Protesilao.
L’ho adorato. Avevo finalmente trovato qualcuno con cui valesse la pena parlare. Poi lui ha anche scoperto che conoscevo il grande attore genovese Gilberto Govi (altro mito, poco o per niente noto ai miei coetanei) e allora l’idillio è stato totale.
Un giorno è rimasto allibito. Da piccola, all’età di 2 anni conoscevo una quantità assurda di parolacce. Ebbe così inizio un’operazione di rieducazione, una specie di riformatorio fatto in casa. La prima fase di questa opera di rieducazione prevedeva l’allontanamento dai miei zii che erano stati artefici della mia istruzione fino ad allora. Mamma passò i successivi due anni a rimproverarmi. Ogni volta che dicevo qualche parolaccia lei gridava:
  • Non si dice!
I miei zii un giorno quando avevo quattro anni circa, durante un pranzo domenicale da mia nonna, mi misero sul tavolo, come per farmi dire una poesia e formularono la fatidica domanda:
  • Sara, cos’è che non si dice?
Fu così che cominciai a fare l’elenco di tutti i turpiloqui di cui ero a conoscenza.
Mamma e zio si accordarono in questo modo. L’unica cosa che potevo dire quando ero arrabbiata era Mannaggia la Sampdoria. Essendo zio napoletano ed essendo il Napoli gemellato con il Genoa, per lui quella era un’offesa notevole. Sarebbe stato più cattivo dire Mannaggia la Juve ma come mi aveva fatto notare lui, i tifosi della Sampdoria a Mondragone erano due o tre e quindi il rischio di prenderle era ridotto al minimo; per dirla tutta uno dei tre abitava proprio di fronte casa di mia nonna.
Un giorno camminando con Fabrizio sono inciampata e ho gridato istintivamente:
  • Mannaggia la Sampdoria!
Al povero Fabrizio per poco non veniva un infarto. Ho dovuto spiegargli l’origine di quella imprecazione. Lui mi ha chiesto cortesemente di non ripeterla in sua presenza.


[1] Nessun problema.

6 giu 2012

Parte 17: Alessio e Alessia!


Uno dei miei amici più fedeli si chiama Alessio. È il fratello di un’amica di mia sorella ed è cinque anni più piccolo di me. Per sua fortuna o disgrazia, non saprei dire, è molto più maturo della sua età e poi ha un pregio che per me è fondamentale…ha una pazienza infinita.
Una sera, quasi dieci anni fa, eravamo andati a cena a casa sua con i miei genitori e lui era contentissimo perché era riuscito a vedere le stelle con il suo telescopio. Mi ha chiesto se volevo andare con lui sul terrazzo per provare a vedere la luna.
A questo punto bisogna fare una premessa. A Mondragone esiste una fabbrica dismessa: l’Itac. Si tratta di un palazzone altissimo per cui sulla sommità c’è un segnalatore luminoso per gli elicotteri e gli aerei.
Quando siamo saliti sul terrazzo Alessio mi ha spiegato come dovevo fare per vedere le stelle. Poi mi ha anche detto che si poteva notare l’effetto Doppler, le stelle infatti erano tendenti al rosso secondo lui. Alessio punta il telescopio e comincia a guardare. Trovata una stella mi dice:
  • guarda tu ora, si vede proprio che alcune sono rosse.
Comincio a osservare il cielo. La luna si vedeva benissimo. Tonda e perlacea in tutto il suo splendore. Decido poi di spostare il telescopio per vedere anche qualche stella e così:
  • Alessio, hai proprio ragione! – grido io entusiasta. – quella stella è proprio rossa. Guarda sembra vicinissima e poi è proprio rossa rossa. Non ne avevo mai vista una così.
  • Ci credo – fa lui - quella è la luce dell’Itac.
Mamma mia che figuraccia. Alessio ha continuato a ridere per tutta la serata. Ho impiegato quasi mezz’ora per convincerlo a non divulgare la notizia.
Da quando ha cominciato ad andare all’università non ci vediamo spesso, ma a volte ce ne andiamo a prendere un gelato insieme per fare il resoconto degli avvenimenti. Per la verità parlo sempre di più io. In genere quando dobbiamo decidere di uscire avviene uno scambio di messaggi molto simile al seguente:
“Cosa stai facendo?” – mi scrive Alessio
“Niente!”
“Sei a Napoli?”
“si”
“Hai da fare?”
“Alessio ma non fai prima se mi scrivi direttamente…vogliamo uscire? Si risparmia”
Un giorno siamo andati in gelateria e poi, siccome ero con la mia macchina e lui era a piedi, mi ha chiesto di accompagnarlo a casa di amici. Li ha telefonati per avere conferma che fossero a casa. Ha detto loro che era con me e che stava arrivando.
  • ma perché i tuoi amici mi conoscono? – domando io alquanto stupita della mia fama.
  • Certo, ti hanno visto a Chi vuol essere milionario.
  • Ah. Sono famosa allora. Serve qualche autografo?
  • Si. E poi lo sanno che ho un’amica più vecchia!
  • Alessio, oggi mi sento magnanima, la prossima volta che dici una cosa del genere, ti faccio scendere a bordo strada e ti abbandono.
Credo sia stato l’unico amico con il quale non ho mai discusso. Si è vero discutere fa bene a volte, ma è molto meglio stare tranquilli. Molto probabilmente questo stato delle cose è merito suo ma allo stesso tempo questo dimostra che se non vengo stuzzicata sono una persona adorabile.
Ho notato una cosa che caratterizza molte delle persone con le quali ho a che fare e che non mi permette di legare facilmente con loro. Più o meno i due quarti dell’umanità è costituita da geni incompresi. Si sentono tutti dei martiri che non riescono a esprimere a pieno ciò che sentono e quindi si sentono incompresi dal mondo che li ignora. Ma le persone che preferisco sono quelle che avviano una discussione, come se volessero sinceramente ricevere una tua opinione in merito ad un argomento, poi però, se per caso osi affermare che non la pensi come loro, scatta la frase di rito:
  • eh va beh tu dici così perché non hai capito quello che volevo dire!
  • No veramente ho capito e pure bene, solo che non la penso come te.
  • No, no. Tu sicuro non hai capito.
Né ma se pensi che sono così scemo perché mi chiedi un’opinione?
Un’altra povera martire che mi sopporta da ben venticinque anni è Alessia. Si può dire che ci conosciamo da quando siamo nate. Il nostro primo incontro è avvenuto quando lei aveva una settimana e io appena tre mesi. Tra alti e bassi siamo andate avanti per tutti questi anni e ci siamo anche regalate una settimana di quelle che si vedono solo nei film. Stile Dillo con parole mie. Guarda caso la nostra vacanza l’abbiamo fatta proprio nell’isola greca in cui è stato ambientato quel film: Ios.
Siamo partite armate di guida turistica e sacco a pelo da Caserta. Il treno ci ha portate fino a Brindisi e lì abbiamo preso la nave per Patrasso. A Brindisi, appena arrivate, Alessia mi ha abbandonata al check - in con il suo bagaglio che pesava un quintale. Meno male che non siamo partite con l’aereo altrimenti ci facevano pagare il supplemento. Io ne ho approfittato per chiedere aiuto a un bel giovanotto. Tra una chiacchiera e l’altra è salito con noi sulla nave e ho passato tutta la notte a parlare con lui mentre Alessia mi rimproverava perché ho la brutta abitudine di parlare con tutti. La prima notte di vacanza di Alessia è stata molto più esilarante. Un bellissimo svizzero moro e alto si è interessato a lei che, diciamola tutta, è altrettanto bella. Piccolo problema. Bisognava parlare inglese. Alessia era in grado di parlare inglese, ma non bene come lo svizzero; nonostante ciò ci ha provato. Lui è stato gentilissimo, le ha anche prestato la sua giacca perché sul ponte della nave, dove eravamo accampati in cento persone circa, faceva abbastanza freddo. Intanto io ero in giro per la nave con il moretto incontrato al check-in, Francesco, quando ecco comparire lo svizzero. Il poverino era in cerca della mia biondissima amica. A quel punto ci siamo preoccupati da morire. Abbiamo cominciato a cercarla per tutta la nave. Alla fine l’ha trovata Francesco. Alessia aveva detto allo svizzero che andava a prendere una cosa nella borsa, che era poggiata vicino ad una panca…e non è più tornata. Si era stesa sulla panca e si era addormentata con addosso la giacca del povero e sconsolato corteggiatore.
Francesco è sceso al porto di Igoumenitsa. Intanto però ci eravamo scambiati il numero di telefono, molto poco convinti che ci fosse un prosieguo.
I primi tre giorni li abbiamo passati ad Atene dove c’erano ancora Fabrizio e Laura due ragazzi che avevano fatto l’erasmus con me ad Atene fino a pochi mesi prima (ma questa è un’altra storia). Ci siamo divertiti molto ma faceva troppo caldo in città.
Il terzo giorno alle 11 siamo partite dal Pireo dirette verso le Cicladi, con precisione verso Ios. Sull’aliscafo abbiamo letto alcune informazioni sull’isola: Ios, isola delle cicladi frequentata nel periodo estivo per lo più da giovani del nord Europa. Luogo di cultura, ricordato soprattutto per la presenza della tomba di Omero. In pratica ci preparavamo ad una vacanza di relax e cultura.
Appena arrivate, mentre stavamo sbarcando, ci siamo ritrovate davanti uno striscione che alcuni italiani sull’isola avevano scritto per dei loro amici che stavano arrivando. A differenza del film Mediterraneo in cui i protagonisti si trovano di fronte un muro sul quale campeggiava la scritta La Grecia è la tomba degli italiani noi ci siamo ritrovate a leggere Benvenuti nell’isola del sesso.
A questo punto Alessia, abbastanza perplessa, ha fatto una domanda del tutto lecita:
  • Ma dove cavolo mi hai portata?
  • Alessia, io ho letto quello che hai letto tu sulla guida, non ho la più pallida idea di cosa stia succedendo.
Nel frattempo ci aveva telefonate Laura per dirci che aveva deciso di raggiungerci per un paio di giorni prima di andare dal fidanzato a Paros.
Appena arrivate scopriamo che sull’isola c’è un amico di Alessia, Armando, con il fratello e altri tre ragazzi. Armando è venuto a prenderci con il suo motorino per accompagnarci al rent a car e affittarne uno tutto per noi. Giuro che in Italia non ho mai preso una multa. Quando la vado a prendere? In Grecia. Eravamo in tre sul motorino, dovevamo fare solo un chilometro. La cosa comica è che la multa non ce l’ha fatta la polizia greca, ma quello del rent a car. Ben 83 euro.
Affittato il motorino finalmente siamo andate nel camping dove eravamo alloggiate. Una volta parcheggiato il mezzo…e che mezzo, siamo entrate. All’ingresso c’era una piscina dove tutte le sere ci si riuniva per l’happy hour. La cosa particolare era che l’happy hour lì si faceva in costume da bagno e a suon di musica house. Lì abbiamo trovato anche Laura che ci aveva raggiunte. Una volta entrate vedo Alessia e Laura correre verso l’uscita. Purtroppo io non ho avuto gli stessi riflessi pronti, così mi sono ritrovata abbracciata da quattro energumeni di Roma. Mi hanno presa e si sono buttati nella piscina con me al centro. Io avevo ancora la maglia, la gonna e le scarpe. Quando mi hanno vista in quelle condizioni Alessia e Laura si sono avvicinate a bordo piscina per aiutarmi ad uscire. Mentre mi tiravano su:
  • Mamma mia che paura. Appena li abbiamo visti siamo scappate – ha affermato Alessia sollevata.
  • La prossima volta geni, avvisate anche me! – risposi io che ancora colavo acqua da ogni parte.
Siccome avevamo già posato i bagagli siamo andate ad asciugarci sulla spiaggia. Volevamo fare le tipe alla moda e ci siamo messe sui lettini con tanto di cappello e occhiali da sole. Alessia era anche andata a prendere qualcosa da bere. In pratica sembravamo tre vip, se non fosse stato per il fatto che c’era un vento micidiale. Tutte le pietruzze, che rendevano quella spiaggia così caratteristica, cominciarono ad arrivarci addosso ad una velocità assurda. Dopo neanche dieci minuti che ci eravamo sistemate siamo dovute scappare via. Per nostra fortuna il vento ci ha abbandonato nei giorni seguenti.
Dormivamo in una tenda doppia con la base in alluminio e la copertura in tela. Il camping era caratterizzato da una serie di terrazzamenti con tende già posizionate ed aree libere per chi veniva con la propria attrezzatura. La luce elettrica non c’era e il bagno era nel terrazzamento inferiore rispetto a quello nostro. Oltretutto era vietato fare più di una doccia al giorno perché l’acqua scarseggiava.
Comunque. Tornando alla tenda, dopo essere state per ben dieci minuti in spiaggia, Alessia scopre che sull’isola c’era anche sua cugina. Avevamo fatto più di mille chilometri per ritrovarci circondate di italiani e soprattutto di persone che conoscevamo.
Salendo verso la tenda mi era sembrato di vedere un ragazzo con il quale avevo fatto una campagna di scavo due anni prima e con il quale ero rimasta in contatto:
  • Alessia, mi è sembrato di vedere una persona che conosco.
  • Ma no! Forse Tra Armando, mia cugina e tutto il resto ti sei fatta prendere dalla fantasia.
  • No Alessia, mi è sembrata proprio una persona conosciuta. È un ragazzo con cui ho lavorato a Tuscania, si chiama Alessandro è di Pavia.
  • Ma sei sicura?
  • No!
  • Perché non lo telefoni e gli chiedi dov’è?
Detto fatto.
  • Ciao Alessandro!
  • Ciao, come stai?
  • Bene! Senti Alessandro non posso stare molto a telefono perché non sono in Italia, sono in Grecia…
  • Grande! Anche io sono in Grecia.
Appunto! Pensai tra me e me.
  • Alessandro fai una cosa scendi alla piscina del camping dove sei.
  • E tu come lo sai che sono in un camping?
  • Lo so perché sono anche io qui. Scendi!
La vacanza si faceva sempre più incasinata.
La sera io, Alessia e Laura siamo andate a mangiare in un ristorantino vicino al porto. Lì ho mangiato la frittura di pesce migliore di tutta la mia vita. Dopo aver cenato, abbiamo avuto la balorda idea di fare un gioco. Siccome io e Laura parlavamo greco, il proprietario del ristorante si era entusiasmato e ci aveva offerto dell’ouzo. Si tratta di un liquore locale all’anice che può essere bevuto liscio o diluito con l’acqua. Premetto che la gradazione alcolica è molto molto alta e che io sono quasi astemia. Io e Laura abbiamo brindato con l’ouzo liscio in un bicchierino e abbiamo bevuto tutto d’un sorso gridando “opa” per poi abbiamo rigirare il bicchiere sul tavolo a testa in giù.
Non l’avessimo mai fatto.
Il cameriere ci ha portato altri tre bicchieri ciascuno. Insomma, per quando siamo uscite di lì eravamo ubriache fradice.
Abbiamo dormito un paio d’ore e poi siamo andate a ballare verso l’una.
Sull’isola c’erano circa dieci ragazzi per ogni ragazza. Il paradiso delle donne in pratica. Siamo entrate in un locale e io ho avuto la malsana idea di dire che mi sarebbe tanto piaciuto andare a ballare su un cubo. Il cubo non c’era e così due ragazzi, per fare colpo, all’improvviso ci hanno sollevate sulle delle mensole che erano nel locale e poi sono saliti su con noi.
Alla fine della serata abbiamo pensato bene, da vere incoscienti, di farci dare un passaggio con il motorino da due ragazzi che non conoscevamo, dato che Laura non aveva il suo.
Il giorno seguente la situazione è precipitata all’improvviso. Laura ha avuto una reazione allergica micidiale e così si è dovuta spostare in un alberghetto e Alessia si è ritrovata con un buco sotto il piede, gentile dono dei suoi sandali nuovi. Il risultato è stato che ha dovuto passare tutto il resto della vacanza in spiaggia con uno splendido calzino a righe.
I giorni seguenti hanno avuto un ritmo abbastanza costante. Sveglia alle dieci circa, colazione, mare, happy hour, cena e poi discoteca. Nel frattempo Alessia è riuscita a trovare l’unico ragazzo dell’isola che aveva intenzioni serie, quasi voleva sposarla, io invece mi sono messa a trafficare con il suo amico Armando. In pratica avevo fatto più di mille chilometri per uscire con un ragazzo che abita a cinque chilometri da casa mia. E va beh la vita è strana.
Una delle persone che ha movimentato di più la nostra vacanza è stato il fratello di Armando, Walter. Era sempre attivissimo e molto indaffarato. Una sera preso dall’atmosfera e anche dall’alcol a dirla tutta, ha fatto una serenata ad una ragazza greca. Romanticissimo, se non fosse che glie l’ha fatta in greco antico.
Siamo anche andati a visitare la tomba di Omero con i nostri motorini. La strada era lunga ben otto chilometri, di cui solo due asfaltati. Puoi immaginare in che condizione sono arrivati i nostri fondoschiena.
La tomba di Omero, il noto cantore dell’Iliade e dell’Odissea, altro non è che una lapide. In realtà esistono ben tre isole che si contendono le sue ossa, ma in ognuna di queste isole non troverete altro che una lapide commemorativa.
Giunti sulla sommità della collina sulla quale era la lapide ci mettiamo a osservare lo splendido panorama. A un tratto mi accorgo che qualcuno aveva scritto qualcosa con delle pietre. La scritta era enorme e leggibile solo da dove eravamo noi. La parola, dedicata ad Omero, noto in inglese come Homer era…DOH!
Ci ho messo un bel po’ io per capirla, ma tutti gli altri ridevano a crepapelle.
Dopo sette giorni di vita dissoluta siamo rientrate in patria distrutte. Avremmo avuto bisogno di un’altra settimana per riprenderci.