10 giu 2012

Parte 19: La famiglia Prossomariti ad Atene!

In Grecia i film che passano in televisione sono in lingua madre con i sottotitoli in greco. Dopo un po’ di tempo si comincia a sentire la nostalgia di casa, o meglio, viene voglia di vedere un film senza stare lì a tradurre ogni parola. A me piacevano tantissimo i film di Van Damm, infatti lì gli attori parlano molto poco, per non parlare del cartone animato Pingu: che Dio lo benedica! Un giorno abbiamo scoperto che sarebbe andato in onda il film Mediterraneo, in italiano e così ci siamo organizzati per vederlo tutti insieme noi italiani, come se fosse stata una partita della nazionale. Giovanna, una mia amica di Pesaro, ha preparato una delle sue torte al cioccolato e così la nostra piccola Little Italy ebbe modo di sentire meno la nostalgia di casa.
Se penso a quante ne ho combinate in Grecia, mi meraviglio che a mio padre non sia venuto un infarto.
Una sera, alle 23, l’ho telefonato per dirgli che stavo prendendo un treno per andare ad Istanbul, in Turchia. Eravamo una ventina di ragazzi e abbiamo fatto chilometri e chilometri in treno, per un totale di quasi 48 ore di viaggio. Il primo tratto era da Atene a Salonicco. Poi a Salonicco abbiamo preso un treno che ha fatto sosta in un paese, se così vogliamo definire tre case con pollaio e una stazione. Qui siamo scesi e la polizia di frontiera ci ha gentilmente fatti accomodare in uno stanzone, con altre 40 persone. In questa stanza c’era una stufa di quelle anni ’20 in ghisa e, dato il freddo, ci siamo ammassati tutti lì in attesa che venissero effettuati i controlli sui passaporti. Dopo diverse ore ecco arrivare un poliziotto che ci comunica che il treno per Istanbul è in partenza. Noi usciamo e ci mettiamo ad aspettare con le valige su un marciapiede vicino ad uno dei binari. Dopo circa 10 minuti ricompare il poliziotto che ci chiede come mai non saliamo sul treno. A quel punto abbiamo capito che il nostro treno non doveva arrivare da un’altra stazione, ma era quella specie di locomotiva a vapore che stava di fronte a noi e che credevamo fosse abbandonata.
Ovviamente per andare in Turchia ci vuole il passaporto. Io avevo avviato le pratiche a settembre e avevo ritirato il mio documento alla questura di Caserta durante le vacanze di Natale. Fabrizio aveva realizzato solo cinque giorni prima della partenza di essere sprovvisto di passaporto. Quando sono tornata a casa mi sono messa a parlare con Giovanna:
  • Giovà ma hai capito a Fabrizio. Voleva venire in Turchia e non ha il passaporto!
  • Ah si? Perché ci vuole il passaporto?
  • Mamma mia Giovà mò ti ci metti anche tu!
Eravamo riusciti a trovare il numero di telefono del consolato italiano ad Atene e volevamo chiedere a qualcuno se c’era il tempo di fare il passaporto per la data in cui dovevamo partire.
  • Pronto. Qui è il consolato italiano di Atene! – afferma una voce molto professionale all’altro capo del telefono.
  • Ah ma parla italiano! – dichiaro io nel pieno di una delle mie fasi alla oca giuliva.
  • Uh Gesù signorina perché che lingua dovevo parlare? – affermò l’operatore sconcertato
Il giorno dopo siamo andati io e Fabrizio al consolato. Giovanna aveva i corsi così le ho avviato io le pratiche. Abbiamo ricevuto i due passaporti circa sette ore prima di partire.
Dopo una bellissima, ma piovosa, settimana nell’antica Costantinopoli, tre amici nostri che erano partiti per Atene un giorno prima di noi, ci hanno comunicano che stavano tornando indietro perché la neve bloccava i binari del treno e le partenze erano quindi state sospese a tempo indeterminato. Ora, dico io, come è possibile che vado in Sicilia e nevica, vado a Istanbul e nevica, vado in Grecia per una vacanza e il Peloponneso va a fuoco. Ti giuro che la prossima volta che decido di partire avviso la protezione civile. Comunque, a quel punto ho dovuto chiamare i miei per avvisarli. Vado alla cabina telefonica e, con la scheda internazionale, telefono a casa. Pioveva, o meglio nevicava, solo che la neve non si posava a terra. Ero bagnata fradicia e speravo che i miei rispondessero subito per tornare prima possibile in albergo.
Risponde papà:
  • papà sono io – gridavo al telefono per coprire i rumori che provenivano dalla strada.
  • Non ti sento bene.
  • Papà sono bloccata ad Istanbul…..tututututut.
Porca miseria è caduta la linea perché ho finito il credito. Torno all’ostello in cerca di qualcuno che abbia una carta internazionale. Era domenica e i negozi erano chiusi. Ero disperata e nessuno sembrava capire il mio dramma. Se non avessi richiamato subito casa per avvisare che ero bloccata ad Istanbul per la neve e non perché mi avevano sequestrata, sarebbero arrivati in pochi minuti ambasciatore, console e chi più ne ha più ne metta. Alla fine mia madre riesce a trovare il numero del mio ostello e mi chiama lei così l’allarme rientra.
Uno dei posti più belli di Istanbul è il Gran Bazar. Qui è d’obbligo contrattare sul prezzo delle merci che in partenza è molto, troppo alto. Fabrizio è venuto con me dicendo che non era in grado di tirare sul prezzo, non rientrava nelle sue doti. Con un’ironia pungente gli ho detto:
  • ma come scusa…non sei genovese?
In risposta ovviamente ho ricevuto uno sguardo torvo.
 Dopo neanche dieci minuti che eravamo al Bazar l’ho trovato che stava discutendo con un commerciante che voleva dieci euro per delle tazzine e lui glie ne voleva dare solo due. E meno male che non sapeva contrattare. Abbiamo comprato anche diversi chili di thè alla mela verde in polvere.
Fabrizio ha avuto il piacere di impattare anche con mia sorella. La mia famiglia mi è venuta a trovare quando stavo ad Atene per festeggiare i venticinque anni di matrimonio dei miei. Sono stati con me quattro giorni. Era novembre e quindi il clima non era dei migliori. Quando sono arrivati, mamma ha scaricato dalla macchina uno scatolone enorme. Da buona mamma napoletana, mi aveva portato: 3 pezzi di pane di casa (comprati dalla nostra panettiera detta La Zuzzosa, che è tutto dire!), freselle, pomodori, origano, salsiccia e cioccolata. Sembrava che fossero arrivati gli aiuti umanitari. La sera dell’anniversario abbiamo cenato tutti insieme, con tanto di suonatore di bouzuki in un ristorante a piazza Monastiraki. Poi ci siamo divisi. Io e mia sorella abbiamo lasciato soli i piccioncini e siamo andate a Ostria. Arrivate lì ho cominciato le presentazioni:
  • Anna questo è Georg, viene da Vienna.
  • Nice to meet you Anna.
  • questa è Paloma, viene dalla Spagna come anche Tolo. Poi c’è Claudia che è tedesca e questo è Fabrizio.
Fabrizio comincia a chiacchierare con mia sorella .
  • come ti trovi qui Anna?
  • Bene!
  • ti piace Atene?
Il tutto per farla sentire a suo agio dato che avevo anticipato a Fabrizio che Anna non parlava ben l’inglese.
Dopo una mezz’ora di chiacchiere mia sorella mi avvicina e sotto voce mi dice:
  • Sara ma lo sai che Fabrizio parla proprio bene l’italiano.
Al che scoppio a ridere e dico, sempre sotto voce:
  • Anna, Fabrizio è di Genova.
Anche Fabrizio si è divertito molto, tanto che, qualche mese dopo che sono rientrata in Italia mi ha mandato una cartolina con una veduta del porto di Chiavari:
Ma quanto è bello il porto di Chiavari? Belin! Ve la sognate un roba del genere dalle tue parti! Per Natale avrei voluto fare un cd con il filmino dell’Erasmus e mandare quello, ma non sono ancora riuscito a far funzionare quel malaka di computer.
Perciò, ebbéccati ‘sta cartolina!
Magari falla leggere anche a tua sorella: resterebbe sorpresa dal fatto che so pure scrivere in italiano.
Una delle tante sere in cui sono andata a ballare con i miei amici, ci hanno raggiunto degli altri erasmus da Salonicco. Io non li conoscevo. Uno di questi mentre ballavo si avvicina e mi comincia a parlare in inglese. A questo punto io faccio l’occhiolino ad una mia amica italiana e mi metto a prenderlo in giro rispondendo in inglese. Dopo una mezzora che ballavamo un suo amico lo chiama:
  • Aurelio dai andiamo in un altro posto.  
  • Aspetta Antonio che a questa me la porto stasera[1].
Io allora ho risposto:
  • Non penso proprio
E lui:
  • marò che figura di merda.

Questa era una serata tipo.


[1] Espressione che vuol dire avere progetti sulla serata molto piccanti.

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