8 giu 2012

Parte 18: L'erasmus ad Atene


Alla fine del secondo anno di università avevo fatto tanti di quegli esami da essere completamente fusa. Causa stress da troppo studio e problemi sentimentali, ho deciso di fare domanda per l’Erasmus.
Ricordo ancora che presentai la domanda per la selezione senza pensarci su troppo. Cosa abbastanza strana dato il mio carattere. Credo sia stata una delle due sole volte nella mia vita in cui ho seguito il detto Carpe Diem e ne sono stata felicissima. Solitamente io la penso in modo diverso: Carpe Diem si ma aspettate un attimo fatemi valutare tutto con calma
Le selezioni consistevano in una prima valutazione della media dei voti. Superato questo gradino bisognava fare un test scritto in inglese o nella lingua del posto in cui si intendeva andare. Io, ovviamente, avendo scelto come mete papabili Atene e Patrasso, ho fatto l’esame in inglese; di farlo in greco moderno non se ne parlava proprio.
Dopo il test abbiamo aspettato tutti insieme, circa 150 persone in un piccolo cortile interno dell’università per quattro interminabili ore. La prof. arrivò con dei fogli in mano. Diciamo che non era proprio il prototipo di donna dolce e comprensiva. Disse che le persone che chiamava avrebbero dovuto seguirla.
Il mio nome non venne pronunciato, come anche quello di altre 50 persone. Ok, sarà per un’altra volta. Avevamo cominciato tutti a mettere a posto libri e penne. Stavamo chiudendo le borse per andare via quando ritorna la prof. e ci comunica che aveva accompagnato fuori quelli che non erano stati selezionati e che ora toccava a noi sostenere un colloquio orale.
Sono stata in Grecia per sei mesi ed è stato amore a prima vista. È stato terapeutico. Ero stressantissima. Uno dei primi giorni in cui ero lì, avevo appena trovato casa ed ero molto avvilita perché non conoscevo nessuno e dovevo al più presto presentare dei documenti all’ufficio Erasmus di Atene. Entrai in un ristorante. Mi ricordo che chiesi una pita al cameriere facendo capire che andavo di fretta, molto di fretta.
A quel punto il cameriere mi disse la prima cosa che ho imparato in greco moderno:
- Kiria sigà sigà!…. Signora piano piano!
Effettivamente quello di cui avevo bisogno era imparare ad andare con calma. Il mio stress non era altro che il frutto della fretta. Sembro percorsa continuamente dall’inquietudine. Quando ero in Grecia mi sono rilassata tantissimo, ma appena sono tornata in Italia l’effetto benefico è svanito e lo stress è tornato alle stelle. Per questo motivo almeno una volta all’anno torno nella terra del mito per fare la mia terapia.
Molto spesso sento parlare della Grecia come di un paese arretrato, ma credo sia proprio questo fattore ad aver preservato i Greci dallo stressarsi eccessivamente. In molti paesi dell’Europa occidentale ormai sembra che si debba trascorrere la propria vita a dimostrare qualcosa a qualcuno. La pressione comincia quasi subito. Da piccolo ti insegnano che non bisogna dire parolacce o fare pensieri cattivi e, così ti ritrovi ad autoflaggellarti per aver mandato a quel paese qualcuno o per aver provato invidia per un amico. Poi comincia la scuola. Soprattutto all’università bisogna dimostrare di essere eccellenti e lo si deve fare anche molto rapidamente. Sempre in tempi ristretti, ci si deve trovare un lavoro, altrimenti si finisce nell’interminabile lista dei disoccupati o in quella dei precari. Dimmi tu come si fa a non essere stressati. Nel mio caso poi oltre il danno c’è stata anche la beffa: ho fatto tutto al massimo livello, rapidissimamente e poi? Sono disoccupata comunque. Tanto valeva stressarmi di meno.
Ultimamente mi sono ritrovata a farmi una domanda: se nell’arco della giornata devo studiare/lavorare, cucinare, pulire la casa, intrattenere rapporti di amicizia…quando lo trovo un po’ di tempo per me?
D’altra parte la Grecia mi ha anche fatto del male indirettamente. Lì ho conosciuto delle persone speciali, con una cultura immensa e con le quali parlare era un piacere. Purtroppo però tutte queste persone ormai le sento saltuariamente, causa chilometri e chilometri di distanza.
Ricordo ancora perfettamente l’incontro con una di queste persone, quella che mi ha colpito di più per la sua inteligenza e cultura: Fabrizio Lombardo.
Genovese di origini e dal cuore Sampdoriano, Fabrizio l’ho conosciuto dopo un mese che ero ad Atene. Eravamo nel locale dove ci riunivamo con tutti gli erasmus, Ostria. Era un sabato sera e ci stavamo organizzando per la domenica. Spesso andavamo a fare delle escursioni, più o meno lunghe e seconda degli impegni. Per quella domenica avevamo deciso di andare ad Epidauro e lui si era unito a noi. La mattina dopo avevamo appuntamento alla fermata dei pulmann per il Peloponneso. Data la condizione geologica della Grecia una rete ferroviaria valida è praticamente impensabile, per cui si fa uso dei pulmann, che a dirla tutta funzionano in modo molto efficiente.
Faceva un po’ freddo quella mattina e il tempo non prometteva bene. Fabrizio si presentò con un giubbino di jeans molto leggero e nella tasca interna del giubbino aveva la sua fedele videocamera.
Sul pulmann abbiamo parlato molto poco dato che io ho dormito per tutto il tragitto. Eravamo circa una decina di persone. Se non ricordo male quattro italiani, cinque spagnoli e una ragazza lituana. Il pulmann ci ha lasciati a quasi due chilometri dal sito, ma kanena provlima[1].
Mentre facevamo una pausa mi sono seduta su una pietra ed ho notato un albero per metà ricoperto di foglie e per metà spoglio. Mi sono ricordata della descrizione del mito di Protesilao e Laodamia fatta da De Crescenzo nel suo libro I miti dell’amore. Nel brano si racconta che il giovane era stato il primo a scendere sul suolo troiano e quindi anche il primo a morire, come predetto dall’oracolo. Dopo la morte era stato sepolto sotto un albero che, sul lato che dava verso la Grecia, era pieno di foglie, su quello che era rivolto verso Troia , il luogo in cui morì, era spoglio.
Quello di Protesilao non è un mito molto famoso, bisogna essere degli appassionati per conoscerlo e così quando Fabrizio ha detto:
  • sembra l’albero di Protesilao.
L’ho adorato. Avevo finalmente trovato qualcuno con cui valesse la pena parlare. Poi lui ha anche scoperto che conoscevo il grande attore genovese Gilberto Govi (altro mito, poco o per niente noto ai miei coetanei) e allora l’idillio è stato totale.
Un giorno è rimasto allibito. Da piccola, all’età di 2 anni conoscevo una quantità assurda di parolacce. Ebbe così inizio un’operazione di rieducazione, una specie di riformatorio fatto in casa. La prima fase di questa opera di rieducazione prevedeva l’allontanamento dai miei zii che erano stati artefici della mia istruzione fino ad allora. Mamma passò i successivi due anni a rimproverarmi. Ogni volta che dicevo qualche parolaccia lei gridava:
  • Non si dice!
I miei zii un giorno quando avevo quattro anni circa, durante un pranzo domenicale da mia nonna, mi misero sul tavolo, come per farmi dire una poesia e formularono la fatidica domanda:
  • Sara, cos’è che non si dice?
Fu così che cominciai a fare l’elenco di tutti i turpiloqui di cui ero a conoscenza.
Mamma e zio si accordarono in questo modo. L’unica cosa che potevo dire quando ero arrabbiata era Mannaggia la Sampdoria. Essendo zio napoletano ed essendo il Napoli gemellato con il Genoa, per lui quella era un’offesa notevole. Sarebbe stato più cattivo dire Mannaggia la Juve ma come mi aveva fatto notare lui, i tifosi della Sampdoria a Mondragone erano due o tre e quindi il rischio di prenderle era ridotto al minimo; per dirla tutta uno dei tre abitava proprio di fronte casa di mia nonna.
Un giorno camminando con Fabrizio sono inciampata e ho gridato istintivamente:
  • Mannaggia la Sampdoria!
Al povero Fabrizio per poco non veniva un infarto. Ho dovuto spiegargli l’origine di quella imprecazione. Lui mi ha chiesto cortesemente di non ripeterla in sua presenza.


[1] Nessun problema.

1 commento:

  1. Non so precisamente in che modo e in che misura, ma leggere questa pagina del tuo blog mi ha convinto ad andare in Erasmus e ad iniziare a tenere un mio blog... ti ringrazio!

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